Obama’s speech: niente di speciale

par Virginia Visani
mercoledì 25 febbraio 2009


E’ stato abbastanza prevedibile il discorso che il neo eletto presidente degli USA Barack Obama ha tenuto ieri davanti all’intero Congresso Americano.

Molti commentatori, ad esempio l’Economist, lo lasciano intendere osservando che non si è trattato di un vero e proprio indirizzo sullo Stato dell’Unione, come la consuetudine avrebbe voluto, trattandosi della prima enunciazione pubblica del Presidente a sole cinque settimane dal suo insediamento.
Ieri sera, 24 febbraio 2009, il consueto “Yes we can” che ha accompagnato Obama in tutta la campagna elettorale, si è invece improvvisamente trasformato in un “Yes we must”. In altre parole, più che una prospettiva di vittoria, l’esortazione si è materializzata in una sorta di spauracchio: se non vogliamo soccombere, dobbiamo fare tutti notevoli sacrifici. Con una promessa finale: la crisi ci renderà più forti.
In quasi un’ora di allocuzione, intervallata qua e là da pause di riflessione accompagnate da una straordinaria profondità di intonazione di voce (l’oratoria è un punto forte del Presidente) ecco squadernati i tre argomenti su cui punta d’ora in poi la politica degli Stati Uniti d’America: energia, salute, educazione.
Energia: si punterà sulle fonti rinnovabili, acqua, luce solare, energia eolica, come mezzi per rendere il Paese sempre meno dipendente dal petrolio. Con un investimento statale di 15 miliardi di dollari all’anno, Obama conta di raddoppiare nel giro di tre anni la produzione energetica.
 
Salute: più cittadini USA potranno godere in futuro dell’assistenza sanitaria.
Educazione: ogni cittadino USA avrà garantita un’istruzione superiore, potrà avere accesso alla scuola superiore avvalendosi di contributi statali e vere e proprie borse di studio. Non ha specificato tuttavia il Presidente con quali risorse economiche questi ultimi due punti potranno essere realizzati.

E qui si incontrano i particolari più dolenti: l’economia in una recessione dalle dimensioni macroscopiche. In primo luogo il deficit: 1,3 trilioni di dollari. Obama si ripromette di ridurlo a 533 miliardi di dollari per il 2013 abolendo tra l’altro i privilegi fiscali concessi dal suo predecessore e riducendo le spese militari con il ritiro delle truppe dall’Irak.
 
Proprio su queste prospettive di ricupero economico si appuntano le critiche non soltanto dei repubblicani ma anche di alcuni suoi compagni democratici. Già il pacchetto di 787 miliardi di dollari concesso per venire in aiuto all’economia è stato oggetto di enormi dissensi. Ma adesso si intensificano le critiche per l’aiuto dato ai banchieri che in questo momento sono i personaggi più vilipesi e più odiati dall’intera popolazione. Tant’è che nel suo discorso Obama ha sentito il dovere di precisare: “ So quanto sia impopolare in questo momento l’aiuto ai banchieri poiché sono proprio loro i maggiori responsabili della disastrosa situazione in cui ci troviamo, però vi assicuro che farò di tutto per ovviare al problema”.
 
E la politica estera? Le relazioni con l’Europa e il resto del mondo? Sono domande che restano in sospeso. Tanto si sa, l’esperienza è ancora bruciante, gli USA condizionano il resto del mondo e a noi, proprio come ha detto Obama, non resta che sperare.
 
 
 
 
 
 

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