O pagare le tasse o sopravvivere: ma che scelta è?

par Fabio Della Pergola
sabato 27 luglio 2013

Stefano Fassina ha detto una cosa che in Italia non si deve dire mai perché "apriti cielo". 

Ha affermato che nel nostro paese esiste una fetta (che io suppongo larga, ma non ho dati, vado a sensazione) di contribuenti che messi di fronte alla drammatica scelta tra pagare le tasse dovute e portare a casa la cena (o pagare l’affitto, le bollette e magari mettere anche la benzina in macchina) scelgono la seconda che ho detto. Evadono per poter sopravvivere.

Ci sono ragioni profonde e strutturali che spingono tanti soggetti economici a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno", ha detto il Viceministro dell'Cconomia, subito rimbeccato da altri esponenti del suo stesso partito, secondo la storica prassi del PD che ha molte anime e molte teste, ma sempre meno elettori.

E ovviamente apriti cielo. Eppure la cosa è di una banalità sconvolgente e la sanno anche i sassi: se pensate che un lavoratore autonomo o un professionista viaggia, tra tassazione complessiva media e contributi alla cassa previdenziale, attorno al 70-75% del reddito e se fate due calcoli scoprirete che per vivere decentemente con un paio di migliaia di euro al mese (su dodici mesi) e pagare tutto il dovuto, un lavoratore di questo tipo deve guadagnare non meno di 100mila euro l’anno. E sono calcoli strettini. Ma una cifra del genere non è facilissimo guadagnarla nemmeno nei periodi di vacche grasse, figuriamoci adesso dopo la bellezza di cinque anni di crisi consecutiva, dura e ancora in picchiata.

Banale. Prima mangiare poi pagare tasse. Una fetta di Italia è costretta a questa “opzione” che non è una "scelta" è un obbligo, perché ogni essere umano ha prima di tutto un obbligo verso se stesso: rimanere in vita.

Ma la cosa non finisce qui perché si sa bene tutti che ci sono ampie zone del paese dove vige pagare il pizzo. Non sto a fare l’elenco delle regioni, ma pare che la prassi si vada espandendo.

Imporre il pizzo non è solo un reato di tipo mafioso o camorristico; è anche una tassazione sull’attività. Ed è una tassa che risulta molto più difficile non pagare, perché ti danno fuoco. Mezza Italia, di nuovo, si trova a vivere “ragioni profonde e strutturali che spingono a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno".

Quindi Fassina ha detto una cosa nota e risaputa, ma è stato sollevato scandalo sia da politici che da sindacalisti. Ovviamente: i primi devono salvare la faccia e i secondi per statuto rappresentano quei lavoratori che l’opzione “pagare le tasse o mangiare” non ce l’hanno mai avuta.

Se quindi si capiscono le ragioni della protesta dei secondi, si capisce meno quella dei primi. Perché i politici, tutti i politici, anche gli ultimi arrivati, hanno la responsabilità dello stato di cose attuali. Quelli della casta perché hanno fatto parte della casta, quelli di destra perché hanno governato per 3400 giorni su 3400 negli ultimi undici anni, quelli di sinistra perché o non hanno fatto opposizione o, quando l’hanno fatta, era così demenziale che sono stati sbeffeggiati da gran parte del loro stesso elettorato e ora arrancano dietro ai diritti dei gay o poco più.

E gli ultimi arrivati perché avrebbero potuto innestare un processo innovativo e invece hanno ridato fiato e vita, consapevolmente e colpevolmente, a quanto di più vecchio la politica italiana ha saputo fare (salvo scoprire che certe elezioni le hanno proprio volute perdere apposta). 

Servono soluzioni e servono subito perché se la gente non paga le tasse per poter mangiare, prima o poi, ma piuttosto prima che poi, lo stato va in bancarotta. Il che significa che nessun pensionato vedrà più una lira e che gli stipendi degli impiegati pubblici saranno molto aleatori. Tanto per cominciare. Poi che i titoli di stato diventeranno carta straccia e che i tassi di interesse viaggeranno a livelli da Repubblica di Weimar.

Certo c’è il possibile ritorno alla lira e alle svalutazioni competitive, come si affanna a ripetere Beppe Grillo. Cosette che, prima di servire a qualcosa, avranno avuto come conseguenza tutto quello già detto qui sopra: cioè di sicuro morte e disperazione, poi chissà.

Come ha cercato di spiegare qualche addetto ai lavori più bravo di me – ma anche di Beppe Grillo – il problema della moneta unica europea non si risolve facendo uscire i paesi indebitati, ma quelli del nord ricco e potente. Non “fuori” Italia, Spagna, Grecia e Portogallo (più gli altri piccoli che annaspano), ma “fuori”, casomai, Germania, Olanda, Finlandia e compagnia cantando.

Ma queste sono le opzioni da strateghi d’alto bordo. Io mi limito a suggerire che ci sono alcuni, piccoli accorgimenti che possono essere presi subito.

  1. Prima di tutto mettere il bavaglio e legare stretto quel deputato del M5S che si è inventato il DURT (come se non bastasse il DURC a far stramazzare le piccole imprese). Pare che il suo stesso non-partito l'abbia fatto; ora ne aspettiamo l'espulsione, come di prammatica per chi sgarra.
  2. Poi allungare drammaticamente i tempi di rateizzazione delle imposte arretrate, per chi è dimostrabilmente in difficoltà, non stabilendo prima la durata e di conseguenza l’importo della rata (che deriva da tempo e ammontare della cifra complessiva dovuta), ma stabilire una cifra fissa – estremamente contenuta – per una durata di tempo dilatata senza porre limiti. Meglio incassare poco per decenni, piuttosto che pretendere tanto in breve tempo senza però incassare un beneamato piffero. Lo stesso discorso deve valere per l’INPS che ancora oggi arriva ad una rateazione massima di due anni. Inoltre va eliminata la quota contributiva fissa: è assurdo che si impongano tremila euro di contributi l’anno, obbligatori, anche a chi guadagna poco o niente. C’è da stupirsi se poi la gente non è in regola? Qualcuno ha avvertito i capoccioni dell’ente che c’è una crisi?
  3. Patrimoniale: argomento scottante e “divisivo” come va di moda dire oggi quando non se ne vuole parlare. E invece bisognerebbe parlarne – infatti lo feci nel dicembre di due anni fa - ricordando quello che scrisse un economista di nome, Pietro Modiano, sul Corriere nel luglio 2011, che vale la pena rileggere oggi: “tassare i patrimoni del 20% più ricco, escludendo l’80% significa riferirsi ad una base imponibile, se si escludono le case, di 2200 miliardi circa”; questa la ricchezza che avrebbe potuto essere tassata con una patrimoniale pesante “il 10%, esclusi i titoli di stato, sono 200 miliardi di minor debito”. E ricordiamoci che in questi ultimi dieci anni il 20% più ricco della popolazione italiana si è ulteriormente arricchito; è ipotizzabile quindi che una patrimoniale del 10 o anche del 15 % non sarebbe altro che un riportare la famosa “forbice” tra arricchiti e impoveriti a livelli preberlusconiani. Tassare i grandi patrimoni, escludendo per ovvie ragioni i titoli di stato, sarebbe non solo una manovra significativa capace di attivare un “circolo virtuoso” economico come spiegava Modiano, ma anche un altrettanto significativo cambiamento di rotta nell’etica pubblica. Di cui si sente un gran bisogno in un periodo in cui la gente ruba per fame o si suicida per debiti, mentre c'è chi sguazza.
  4. Poi ci sono anche tutte le iniziative e i tagli di cui si è parlato ovunque e per mesi (dai costi della politica al finanziamento pubblico ai partiti, dagli F35 alla TAV, dal ritiro delle missioni militari all’estero all’abolizione delle province eccetera).

Ma ovviamente ci sono anche gli evasori veri, quelli che magari si offendono se qualcuno li definisce evasori, quelli che esportano i capitali nei paradisi fiscali, le grandi aziende che accumulano quattrini utili per le mazzette eccetera. Gente che va perseguita e punita perché non evade per sopravvivere ma solo per avidità. E chissenefrega se un avido finisce in un qualche girone infernale.

Ma che all’inferno ci finisca un pensionato o un bottegaio, un precario o un cassintegrato, un autonomo o un esodato quello sì, mi importa.

 

Foto logo: Alan Cleaver/Flickr


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