Tassista condannato per aver insultato l’Italia. La Cassazione: "È vilipendio"

par Giacomo Belvedere
venerdì 5 luglio 2013

Non si può insultare impunemente l'Italia. Nemmeno se siamo alterati dalla rabbia e ciò che diciamo non è ciò che pensiamo realmente a mente fredda. Lo stabilisce una sentenza della Cassazione. Anche Dante sarebbe dunque reo di vilipendio alla Nazione?

FRENATE LA LINGUA SE PARLATE DELL'ITALIA

È estate e col caldo si abbassano pericolosamente le difese immunitarie che tutelano il bon ton. Per la categoria dei bipedi inscatolati nelle quattro ruote, incolonnati in lunghe file immobili sull’asfalto infuocato sotto il solleone cocente, direi che precipitano ad un livello di allarme rosso. Se aggiungiamo lo stress da spread, le tasche semisvuotate dalla crisi, le tasse asfissianti, la minaccia dell’Iva al 22%, ce n’è abbastanza per creare una miscela esplosiva di turpiloquio, imprecazioni e invettive.

Ma attenti contro chi imprecate. Finché ve la prendete con la parentela femminile del malcapitato oggetto delle vostre colorite esternazioni, rischiate un occhio nero se costui è grande, grosso e palestrato. Ma se il bersaglio dei vostri giudizi poco lusinghieri è la Patria, è bene frenare la lingua. Altrimenti è vilipendio alla Nazione. E a nulla vale poi scusarsi col caldo, lo stress e via dicendo. Non vi valgono nemmeno le attenuanti generiche. Lo ha stabilito una sentenza della Cassazione che ha condannato in via definitiva un autista 71enne che, multato dai carabinieri perché guidava con un solo faro acceso, in un accesso di rabbia si è lasciato andare a un poco elegante commento sul Belpaese, catalogandolo con un epiteto escrementizio. Che detto davanti ai rappresentanti della Benemerita è a dir poco imprudente.

Il troppo arzillo vecchietto, dopo essere stato condannato in primo e secondo grado, è stato sanzionato anche dai giudici della Prima sezione penale della Cassazione, che hanno confermato la condanna in Appello dell’incauto ma troppo loquace settantenne, che dovrà dunque pagare una multa di mille euro, pena interamente coperta da indulto.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Per commettere il reato, spiega la Corte, basta l’offesa alla nazione, un’ingiuria che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale “a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall’autore”. I giudici della Suprema Corte spiegano nelle motivazioni della sentenza che «Il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva».

Per integrare il reato, previsto dall’articolo 291 del codice penale, «è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente». Nel caso in questione, le espressioni ingiuriose e di disprezzo rivolte all'italia sono da consideratsi vilipendio e come tali vanno severamente sanzionate perché ledono sia «oggettivamente il prestigio o l’onore della collettività nazionale, sia nel profilo psicologico, integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall’autore e dal movente, nella specie di irata contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l’agente a compiere l’atto di vilipendio».

ANCHE DANTE REO DI VILIPENDIO?

Attenti dunque a moderare le parole, fratelli d’Italia. L’Italia è come la mamma e la mamma si sa è sacra. A meno che le “offese grossolane e brutali” abbiano una qualche “correlazione con una critica obiettiva”. In quel caso, se vi resta la curiosità di sapere quali siano i termini di una “critica obiettiva” e a quali eventuali altre sanzioni andreste incontro, fate pure. E fateci sapere, ché per noi comuni mortali quale sia il criterio per misurare l’obiettività di una critica resta un mistero insondabile. Chissà se i giudici ermellinati condannerebbero anche Dante, che verso l’amata paria non fu per nulla tenero, apostrofandola senza mezze misure e pubblicamente come un inqualificabile bordello.

Ma forse la critica del Padre della lingua italica aveva il bollino dell’oggettività. E poi lui non era stato multato, ma esiliato. Immeritatamente, anche se forse un po' se l'era cercata. Diciamo che l’epiteto volgare pareggiava l’offesa ricevuta. Invece, non sembra funzionare la legge del taglione nel caso di una più banale multa, per giunta meritata, e dunque nessuno si ritenga giustificato se commette lo sproposito di paragonare lo Stivale a una cloaca. Ed anche quando la stagione si farà più fredda, e avremo meno tentazioni, occorrerà tenere a bada la lingua. Non sia mai che incappiamo nel reato di vilipendio, perché alle prime gocce d’acqua piovana, ci scappa un «Piove. Governo ladro». Vaglielo a spiegare poi che Governo e Nazione non sono esattamente la stessa cosa.


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