Nuovo appello della Consulta: il Parlamento tuteli le unioni gay

par UAAR - A ragion veduta
mercoledì 18 giugno 2014

La sentenza della Corte costituzionale, in merito al matrimonio sciolto automaticamente per il cambio di sesso di un coniuge, ha un simpatico effetto collaterale: rende di fatto valido, seppure a causa di circostanze eccezionali, un matrimonio tra due persone dello stesso sesso, e incalza quindi il legislatore affinché si decida, una buona volta, a varare una legge che introduca una forma di convivenza riconosciuta alternativa al matrimonio.

In realtà un invito in tal senso era già arrivato nel 2010, ma era stato formulato nell’ambito di una sentenza che, respingendo il ricorso di tre coppie gay che desideravano sposarsi, confermava il carattere eterosessuale del matrimonio. La sentenza attuale è invece di accoglimento; stabilisce, infatti, l’incostituzionalità delle norme sulla rettifica del sesso all’anagrafe, laddove impongono lo scioglimento d’ufficio del matrimonio precedentemente contratto, e di conseguenza la loro inapplicabilità fino a quando non verranno modificate. Ad essere violato è l’art. 2 della nostra Carta Costituzionale, cioè quello che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali”.

Per i giudici della Consulta non è possibile privare di qualunque tutela, di colpo, due persone che hanno finora vissuto da sposate. L’interesse dello Stato nel mantenere l’attuale carattere eterosessuale dell’istituto matrimoniale non può essere perseguito a colpi di accetta, tranciando di netto ogni riconoscimento di quei diritti invocati dal succitato art. 2. Quello che occorre è un idoneo bilanciamento tra questo interesse dello Stato e quello dei coniugi che desiderano continuare ad essere una famiglia.

Idealmente la questione potrebbe essere risolta con l’introduzione di un matrimonio omosessuale a tutti gli effetti, ma purtroppo la stessa Corte costituzionale aveva già stabilito che una simile ipotesi sarebbe in contrasto con la corrente interpretazione dell’art. 29 della Costituzione, che andrebbe quindi modificato prima di poter pensare a un’estensione di questo istituto. Non rimane dunque che un’unica via possibile: il legislatore deve istituire una forma di unione riconosciuta che garantisca alle coppie omosessuali quei diritti e doveri reciproci finora riservati alle coppie matrimoniali, in modo che le coppie che da eterosessuali diventano omosessuali, come quella modenese ricorrente, non debbano subire una sorta di divorzio coatto non desiderato da nessuna delle parti.

E il bello è che questa unione civile devono pure sbrigarsi a farla, perché fino ad allora quella coppia, su cui deciderà la Cassazione, potrebbe rimanere in una sorta di limbo legislativo per cui, da un lato, il loro matrimonio non può essere sciolto in virtù dell’incostituzionalità delle norme che lo prevedono, e dall’altro sarebbe, in virtù dei precedenti pronunciamenti, incostituzionale rispetto all’art. 29. Circostanza paventata dalla stessa Consulta che infatti ha escluso esplicitamente, per gli stessi motivi, la possibilità di risolvere la questione introducendo la cancellazione del matrimonio solo su richiesta di uno dei coniugi, perché appunto l’assenza di questa richiesta porterebbe a un matrimonio incostituzionale.

Paradossalmente, le nozze celebrate in chiesa di questa coppia, con famiglie cattoliche praticanti alle spalle, sono ancora valide per la diocesi di Bologna. “Probabilmente perché un caso del genere non è previsto dal diritto canonico”, suggerisce Alessandra Bernaroli, proprio il marito che ha cambiato sesso diventando donna. D’altronde, nessuno dei due coniugi si è rivolto al tribunale ecclesiastico per chiederne la nullità e il matrimonio cattolico è indissolubile. Dopo la sentenza, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato per settembre una legge sulle unioni civili alla tedesca anche per gay e lesbiche, in pratica sul modello delle civil partnership e con possibilità di step child adoption (cioè di adottare il figlio del partner). Tema che rischiava di cadere nel dimenticatoio ma è stato riproposto ora, segno di una accelerazione della politica dettata dai pronunciamenti giudiziari (non dimentichiamo il recente caso di Grosseto).

Ancora una volta emerge come il quadro legislativo italiano sia affetto da una forma patologica di disorganicità cronica. Sempre più spesso, quando si parla di diritti (ma non solo) le leggi vengono formulate in maniera astrusa e incoerente, nel vano tentativo di conciliare le istanze di chi chiede il riconoscimento di quei diritti con quelle di chi invece grida all’attentato di principi morali religiosi, che naturalmente i diritti altrui vogliono limitare. Il caso più eclatante è quello della legge sulla procreazione medicalmente assistita, smantellata in sede giudiziaria fino al recente pronunciamento della Corte costituzionale, ma anche il fronte delle unioni civili sembra piuttosto frastagliato.

Non possiamo non notare che la vicenda da cui ha origine la sentenza in oggetto scaturisce da una precisa azione: quella, da parte del coniuge precedentemente maschio, di aver richiesto la rettifica dell’attribuzione di sesso. Se Alessandro, oggi Alessandra, fosse rimasto anagraficamente maschio, nessun giudice e nessun ufficiale di stato civile avrebbe mai potuto mettere in discussione il matrimonio con sua moglie, e di fatto avremmo avuto un matrimonio tra due donne in un paese che consente solo i matrimoni tra una donna e un uomo. Se non è assurdo questo…

 

 

Foto: Wikimedia


Leggi l'articolo completo e i commenti