Nucleare, sindrome nimby e innovazione

par Giovanni Nocera
sabato 28 febbraio 2009

L’Italia potrebbe riprendere il percorso per la produzione di energia elettrica con centrali nucleari. La notizia è stata seguita da uno strascico di commenti: favorevoli e contrari hanno espresso opinioni, spesso argomentate con considerazioni tecniche interessanti.

Tra i contrari all’ipotesi nucleare una parte che si è appellata, senza se e senza ma, al referendum del 1987. Un referendum indetto sull’onda emotiva del disastro di Cernobyl, provocato da avventati esperimenti condotti nella centrale nucleare. Tutti conosciamo l’esito del referendum e l’assurda situazione nella quale si è venuto a trovare il nostro Paese: libero dal nucleare – denuclearizzato, come scritto orgogliosamente nelle insegne all’ingresso di molti comuni –, ma esposto agli stessi pericoli qualora si fosse verificato un incidente, peraltro mai avvenuto, in una delle centrali nucleari prossime ai nostri confini.

Evocare il risultato referendario significa considerare l’Italia del 2009 cristallizzata nella situazione del 1987, cosa certamente non vera ed impossibile. Il Paese, pur mancando di riforme strutturali, ha dimostrato in molti settori una grande capacità di innovazione. Innovazione che deve essere sostenuta da un adeguato, costante e conveniente approvigionamento energetico. Quanti oggi sono contrari alle centrali nucleari sono gli stessi che combattono i rigassificatori, in un Paese, come è il nostro, che produce il 60% dell’energia elettrica per combustione di gas metano.

Parlare di nucleare non può essere un tabù, nonostante la chiara indicazione popolare del 1987. E’ necessario proporre un maggiore impegno di informazione, in modo da non imbattersi, o superare, cittadini affetti da sindrome Nimby (non nel mio cortile), purtroppo altamente contagiosa e spesso ingiustificata. La gente delle nostre città sa che per avere sviluppo economico è necessario innovare, riconsiderando le scelte del passato, soprattutto quando queste si sono rivelate sbagliate.

A distanza di 20 anni possiamo rivalutare, con dati certi alla mano, costi e benefici di una tecnologia che si è dimostrata molto sicura e che rappresenta la sola alternativa di approvigionamento - con produzione regolare nel tempo e potenza costante, indipendente da fibrillazioni di mercato o cicli stagionali, senza emissioni atmosferiche inquinanti – per centrare gli obiettivi di Kyoto non rinunciando allo sviluppo e all’innovazione.


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