Nucleare, ripartire da quella vittoria

par Pietro Orsatti
giovedì 5 marzo 2009

Strano Paese, l’Italia. Dove invece di imparare dagli errori si tende a ripeterli. Successe negli anni Sessanta, nel periodo della nazionalizzazione dell’Enel, nel settore delle grandi opere.

Sarebbe bastata la tragedia del Vajont perché gli italiani iniziassero ad accorgersi che non era possibile pagare “qualsiasi prezzo” sull’altare di un presunto progresso, che poi tanto progresso non era. Strano Paese, davvero, dove la volontà popolare, espressa democraticamente nel 1987 con un regolare refrendum abrogativo, oggi viene negata a colpi di sondaggi demoscopici (anche questi presunti).

L’Italia scelse di uscire fuori dal nucleare, oggi rischia di rientrarci. Quel movimento che in dieci anni smantellò scientificamente l’atomo all’amatriciana oggi si trova costretto a riorganizzarsi. Le televendite dell’atomo sicuro (che più sicuro non si può) sono ripartite. Il nucleare è bello, più glamour di Carla Bruni, più simpatico di Jerry Scotti, più utile di Mike Bongiorno. Sarà da “Chi vuol esser milionario” che apprenderemo quale sia il primo dei siti per le centrali?



«Ahi, ahi, signora Prestigiacomo, lei mi casca su Montalto». Ha proprio detto Montalto la ministra alla stampa? Certo, proprio il sito (occupato ora da un’attempata centrale tradizionale) dove il movimento antinucleare degli anni Ottanta trovò quella sintesi fra comitati locali, mondo scientifico, sinistra, partiti e addirittura pezzi di sindacato che rappresentò una novità assoluta nel panorama ambientalista non solo italiano.

Nasceva a Montalto, durante i blocchi davanti ai cancelli e nelle assemblee universitarie e dei comitati locali, la base dell’ambientalismo scientifico che portò al referendum del 1987. è ovvia la volontà di ripartire da lì: per ragioni logistiche, simboliche, addirittura economiche. A Montalto i nuclearisti italiani si dichiararono sconfitti con la centrale praticamente terminata. Da Montalto ripartono. 


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