Nucleare iraniano: trattative rimandate

par Fabio Della Pergola
martedì 12 novembre 2013

Uno dei motivi dell’ottimismo che sprigionava dai diplomatici iraniani impegnati nelle trattative di Ginevra sul nucleare, derivava dalla loro richiesta di rimuovere per sei mesi le sanzioni sulla loro Banca centrale e sul Ministero iraniano del Petrolio, richiesta che gli americani avevano già accettato durante i colloqui preparatori.

La legge americana - secondo il quotidiano israeliano Haaretz - permette al Presidente Obama di sospendere questo tipo di sanzioni senza doversi impegnare in un braccio di ferro con il Congresso a maggioranza repubblicana. E questo non trascurabile particolare ha reso possibile un avvio sorprendentemente rapido e positivo dei colloqui, nonostante la ritrosìa manifesta e ostile del governo israeliano.

Il quotidiano non chiarisce appieno qual è la contropartita che gli iraniani dovranno concedere, anche se fa capire che è ipotizzabile un congelamento della stessa durata di tempo dell’arricchimento dell’uranio ai livelli più alti; quel 20% che Israele considera molto vicino alla soglia di pericolosità, perché in un tempo relativamente breve la stessa tecnologia necessaria per arricchire l’uranio al 20% può essere attivata per arrivare a soglie adatte all’uso militare dell’energia atomica.

L’alleggerimento delle sanzioni dimostrerebbe che la fiducia concessa dall’ayatollah Khamenei al nuovo presidente Rouhani è stata ben riposta e darebbe un contibuto importante a contrastare l'opposizione astiosa delle fazioni ultraconservatrici del regime alle trattative in corso.

Ma il problema naturalmente sono le sanzioni imposte dall’ONU che non possono essere rimosse se non dopo una conclusione finale e positiva dei negoziati e, una volta rimosse, non possono essere rapidamente riattivate nel caso ce ne fosse bisogno.

Nel frattempo Israele scalpita e il premier Netanyahu non cessa di sgolarsi sull'errore storico che si starebbe compiendo nella trattativa con l'Iran, andando incontro alla raggelante risposta di un anonimo diplomatico europeo che, sottolineando il clima ottimistico nella comunità internazionale sul possibile esito positivo dei colloqui, ha avvertito lo stato ebraico che i "guastafeste" non sono graditi e che Israele si sarebbe potuto trovare improvvisamente relegato in un angolo di irrilevanza politica. Cosa su cui ci sarebbe comunque da dubitare vista l’importanza strategica di Israele nel vicino oriente.

Ma l’altolà del diplomatico non ha placato affatto il leader israeliano che ha incontrato a brutto muso John Kerry al punto che il diplomatico - dopo aver seccamente detto che “gli USA non sono né ciechi né stupidi” nelle loro trattative - ha sollecitato una telefonata diretta di Barack Obama per tranquillizzarlo. E, subito dopo, il sottosegretario agli esteri americano, Wendy Sherman, è volata in Israele per contatti diretti e urgenti con il governo di Gerusalemme, che insiste nel pretendere lo smantellamento delle centrifughe iraniane necessarie per l’arricchimento dell’uranio.

Ma la trattativa che avrebbe potuto segnare un punto di accordo già prima del week end si è bruscamente arenata per l’intervento dell’esponente francese ai colloqui, quel Laurent Fabius già noto per essere stato - a 37 anni - il più giovane primo ministro di Francia. Oggi il ministro degli esteri di Parigi sembra aver sposato le richieste israeliane e ha bloccato sul filo di lana la possibilità di concludere un accordo favorevole a Teheran, soddisfacente per Washington, ma non per Gerusalemme.

E "ha preteso una rinuncia esplicita al reattore di Arak, che una volta completato potrebbe fornire il plutonio sufficiente per fabbricare ordigni nucleari e rendere così ininfluente l’addio iraniano all’arricchimento dell’uranio" come scrive oggi Stefano Montefiori sul Corriere.

Altro giro altra corsa, quindi, per i diplomatici del 5+1 (la nuova equazione globale che si trova a fronteggiare l’Iran) e per quello di Teheran. Questi, appena tornato a casa, non si è fatto pregare e ha rilasciato una dichiarazione pubblica piuttosto decisa, tracciando a sua volta la linea rossa del regime: l’arricchimento dell’uranio è un diritto e l’Iran proseguirà sulla sua strada senza accettare diktat.

Ma benché avesse siglato il Trattato di Non Proliferazione atomica già nel 2006 l'Iran ruppe i sigilli dell’AIEA (l’Agenzia internazionale dell'energia atomica) posti a chiudere i siti nucleari iraniani. Poco dopo impedì all’AIEA stessa di fare ispezioni a sorpresa - che oggi l'Iran a sorpresa sembra aver accettato - e, anni dopo, impedì ai tecnici dell'agenzia di visitare il sito militare, rimasto segreto a lungo, di Parchin.

Nel frattempo notizie riservate rivelarono che già nel 2005 (o addirittura dal 2001 secondo il procuratore generale ucraino Piskun) la repubblica islamica aveva acquistato segretamente dall’Ucraina, in violazione all’embargo internazionale sulle armi, dodici missili da crociera a lungo raggio Raduga Kh-55 in grado di trasportare testate nucleari fino a 3000 km di distanza.

La domanda - allora come oggi - è che cosa se ne faccia di missili a lungo raggio capaci di portare testate atomiche un paese che da sempre afferma di perseguire scopi pacifici nel suo programma nucleare.

Non a caso, sulla base di queste notizie, i dubbi sulle reali intenzioni di Teheran in merito all’uso dell’energia atomica aumentarono e sia l’AIEA che i paesi occidentali - ma anche tutte le monarchie sunnite del golfo - si schierarono a fianco di Israele, in prima fila per ovvi motivi di personale sicurezza, nella volontà di contrastare l’eventuale programma atomico militare dell’Iran.

Oggi a Teheran c’è un presidente meno compromesso con le frange radicali del regime. E un presidente americano decisamente portato alla trattativa più che alle prove di forza. Ma non un premier più morbido a Gerusalemme né, tantomeno, monarchie sunnite più ben disposte verso Teheran che, dal loro punto di vista, sta finalmente perdendo buona parte della sua influenza sul vicino oriente a seguito della crisi siriana.

Prossimo appuntamento fra dieci giorni. Con quali possibilità di arrivare ad un accordo che eviti guai peggiori lo vedremo presto. Anche se il nuovo ruolo giocato dalla Francia a guida socialista - dopo essere già balzata agli onori della cronaca per l'atteggiamento durissimo e interventista contro la Siria di Assad - resta tutto da interpretare e potrebbe costituire un ostacolo più duro del previsto anche per la possibilità di veto che Parigi può porre in sede di Consiglio di Sicurezza dell'ONU.

 

foto: The Official CTBTO Photostream/Flickr


Leggi l'articolo completo e i commenti