Non si parli di equità senza tagli ai costi della politica
par Daniel di Schuler
giovedì 8 dicembre 2011
Da italiano non posso che augurarmi che Monti ce la faccia. Un suo fallimento rappresenterebbe il fallimento del paese, né più, né meno, e qualunque cosa, o quasi, mi pare migliore di un simile destino.
Detto questo, devo anche dire che la manovra che è stata presentata ieri mi piace davvero poco; è una manovricchia senza colpi d'ala, simile a tante già viste e riviste negli ultimi decenni, di cui apprezzo solo le misure, peraltro minime, a favore dell'innovazione e della ricerca oltre alla creazione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.
Buona anche l'idea di abolire ogni ostacolo all'apertura di nuove attività commerciali, ma pessima l'idea di liberalizzare gli orari di apertura dei negozi: a lungo termine porta solo ad un innalzamento dei già altissimi costi di distribuzione, senza alcun benficio per il sistema paese.
Per il resto c'è solo da scuotere la testa.
Sono favorevolissimo ad adeguare la normativa previdenziale italiana a quella del resto d'Europa, intendiamoci, ma credo pure che le risorse così liberate debbano essere integralmente reinvestite in aiuti alle famiglie, ai giovani e per aumentare i salari reali dei lavoratori. Usare quei denari per tappare i buchi di bilancio intacca le nostre riserve strategiche senza costruire nulla per il futuro: una ennesima occasione sprecata.
Demenziali, poi, i tagli lineari apportati alla sanità; è una delle poche aree del nostro settore pubblico che abbia, in generale, un efficienza simile a quella degli altri paesi europei e rappresenta, per il sistema paese, un netto risparmio rispetto a sistemi a gestione privatistica: gli italiani, per capirci, vivono più a lungo degli americani, spendendo per curarsi la metà di questi, rispetto al PIL. Sprechi esistono certo nella nostra sanità (basti pensare a come viene gestita in Sicilia), ma andrebbero individuati, e la cosa non pare neppure troppo difficile, ed eliminati uno per uno.
Quello che però trovo davvero insopportabile, nella manovra del nuovo governo, è che non vi è alcuna traccia di reali tagli ai costi della politica; costi che potrebbero essere perlomeno dimezzati (un parlamentare italiano costa il doppio di uno tedesco e il quadruplo di uno spagnolo) senza alcun scadimento della qualità della nostra democrazia. Anzi.
Qualcuno trova giusto che i consiglieri regionali della Sicilia guadagnino 14.329 euro il mese o che l'assessore allo sport di un qualunque comune di 10.000 abitanti ne guadagni 1500? Lo sapete che un parlamentare del canton Ticino, con poteri e responsabilità superiori a quelli di un parlamentare regionale italiano, percepisce su per giù 8000 euro l'anno? Vi sembra male amministrata la Svizzera?
Che la politica debba essere, ad altissimi livelli, un mestiere, mi pare indiscutibile o quasi; che lo debba essere a livello di consiglieri comunali o addirittura di consiglieri d’amministrazione di qualche municipalizzata, mi pare francamente ridicolo.
Tagliare i costi della politica anche solo del 10% rappresenterebbe, secondo i dati forniti a suo tempo dal Sole 24 Ore, un risparmio di 2 miliardi; una cifra tutt’altro che irrisoria se si pensa che è l’esatto ammontare dei tagli alla sanità previsti per il 2012.
Mi rendo perfettamente conto che Mario Monti non sia un dittatore, e che debba fare i conti con il pessimo parlamento che abbiamo eletto, eppure trovo indecente che una classe dirigente chieda dei sacrifici ai normali cittadini prima di imporsene di almeno altrettanto gravi. Trovo immorale che mentre si cavano le ultime gocce di sangue ai comuni cittadini, la nostra assurda, demenziale, classe politicante non voglia rinunciare a nessuno dei propri privilegi; dalle auto blu, ai voli di stato.
Un comportamento, quello degli eletti che in questo momento si nascondono dietro le spalle del professor Monti, che mina l’idea stessa della coesione sociale e che considero un vero e proprio tradimento del loro mandato.
Un amico mi ha regalato un’opera che cercavo da molto tempo. Si tratta di “La resistenza più lunga”, dedicata all’attività delle brigate partigiane in Valtellina.
La sera stessa in cui ho iniziato a leggerla, cercandovi e trovandovi traccia di mio nonno che a lottare in montagna passò due inverni, ho anche letto sui giornali che alcuni parlamentari meditano di dimettersi prima di fine anno per non incappare nei rigori , si fa per dire, della nuova normativa sui loro vitalizi.
Alla fine del secondo volume, subito prima dell’indice, “La resistenza più lunga” riporta i nomi di tutti i partigiani morti in provincia di Sondrio durante la guerra di liberazione. Ho scorso quell’elenco; ho riconosciuto alcuni di loro, dai racconti che avevo udito da ragazzino, e non ho potuto fare a meno di pensare che avevano sacrificato la loro vita per consentire a quei mentecatti che abusano oggi del nostro Parlamento di farsi gli affaracci propri.
Mi è rimasto in bocca un sapore amarissimo che sento ancora, mentre scrivo queste righe. Che nessuno osi, se non si toccheranno i privilegi dei nostri politicanti d’ogni risma, parlare di equità: dopo aver disonorato i morti, si smetta perlomeno di prendere in giro i vivi.