Non si esce vivi dalla Prima repubblica
par Gabriele Tofi
lunedì 29 aprile 2013
Secondo gli esperti, già nel 2008, con l'imposizione del duopolio Pd-Pdl, la polarizzazione mai così accentuata degli orientamenti elettorali e la progressiva uscita di scena delle fazioni più estreme, a destra come a sinistra, nasceva la Terza repubblica. Impressione forse un po' azzardata, visto che anche la Seconda repubblica era ancora un oggetto misterioso, così come lo erano molti (presunti) punti di discontinuirà rispetto alla Prima.
La risposta migliore arriva a distanza di 5 anni. Di nuovo Pd-Pdl, ma non a dividersi la scena, bensì a condividerla. Più, va detto, il centro montiano, che rappresenta il motivo principale per cui quello italiano non è mai stato un bipolarismo canonico e perfetto. 20 anni fa, infatti, Scelta civica si chiamava Ppi-Patto Segni, per poi diventare Udc, Terzo polo e arrivare infine all'attuale schieramento che fa capo a Monti. Una tradizione ventennale, quella della coalizione terza e “intrusa”, così come il tentativo di creare un sistema di alternanza politica che oggi si risolve con le larghe intese tra i due principali poli teoricamente contrapposti.
Altro che Terza Repubblica: non siamo mai usciti dalla Prima. La Dc non è mai morta. Basta ripercorrere la storia della formazione di Pd e Pdl e rendersi conto che entrambi affondano le radici nella migliore tradizione democristiana e pentapartitica che, nonostante siano passati 30 anni, appare (o meglio, è) realtà dei nostri tempi. Tutti insieme appassionatamente, con una bella pernacchia in faccia al bipolarismo e a Sergio Mattarella.
Di fatto, le larghe intese (o, come va di moda dai tempi di D'Alema, l'inciucio), sono solo la continuazione del consociativismo tanto caro alla Prima repubblica. Sistema che ha continuato, seppur con modi e tramite personaggi diversi, ad animare la vita politica dell'ultimo ventennio in maniera tacita e sotterranea e ora, tramite l'insediamento del governo Letta, esce alla scoperto e riceve tutti i crismi dell'ufficialità, creando anche un precedente e definendo i canoni per il futuro.
È infatti prevedibile che, con la scusa dell'interesse del Paese e dell'Europa, che sono entrambi in difficoltà (e continueranno ad esserlo, visto che l'unione economico-monetaria ha palesato la propria intrinseca fragilità e inadeguatezza), non si esiterà, in futuro, a ricorrere di nuovo a questa soluzione.
Quanto segue è il capitolo conclusivo della mia tesi di laurea triennale, discussa ormai più di un anno fa, in tempi di governo Monti sostenuto da Pd-Pdl-Udc. All'epoca, la giustificazione era il momento di estrema difficoltà economica e la necessità di cooperare a sostegno del professore e la sua squadra di tecnici per uscire dalla crisi. Oggi, la crisi c'è ancora, anche più forte di allora. E le larghe intese non sono più a sostegno di tecnici, ma di un governo politico a tutti gli effetti. Con buona pace delle elezioni, della campagna elettorale, del nostro voto e dei “no all'inciucio” bipartisan. Tutti insieme appassionatamente, di nuovo nella grande pancia della Balena bianca.
Quali indicazioni possiamo trarre dagli eventi descritti in questo elaborato? In primo luogo, le trasformazioni della politica e del sistema partitico italiani sono state caratterizzate da eventi bruschi, improvvisi e a tratti drammatici, specialmente nel biennio 1992-93. Generalmente i cambiamenti di questo tipo non sono contraddistinti o addirittura causati da fatti accidentali, bensì governati e guidati ad hoc dalla stessa classe politica, come ad esempio nel caso del passaggio dalla Quarta alla Quinta repubblica in Francia durante l'esperienza del generale De Gaulle.
Scendendo ancora più nel dettaglio, abbiamo già osservato come la transizione politica verificatasi nel periodo preso in esame sia anomala, dal momento che il regime è rimasto inalterato; ma non è solo questo il punto. Bisogna riflettere anche sui cambiamenti avvenuti, le cui entità e importanza lasciano ulteriori dubbi sulla natura di questa trasformazione del sistema italiano.
Pietro Grilli di Cortona ha inquadrato in questo modo la questione: è opportuno parlare di una Seconda repubblica, oppure sarebbe più appropriato definirla una Prima repubblica-bis? Proviamo a rispondere a questa domanda analizzando la situazione da due diverse angolature: la prima politico-partitica, la seconda istitituzionale.
I vecchi partiti sono scomparsi o si sono trasformati in virtù di una generale crisi sistemica, aggravata da eventi sia esterni che interni più o meno casuali. Parallelamente, la riforma elettorale ha determinato un cambiamento non solo nelle modalità di assegnazione dei seggi, ma anche a livello di strategie. Con il passaggio dal proporzionale al maggioritario è venuto meno il vecchio sistema centralizzato, imperniato sulla Dc e i suoi eventuali alleati, i quali isolavano per vie parlamentati gli altri partiti (specie Pci e Msi). È nato così un sistema bipolare, basato su due coalizioni contrapposte ed alternative fra loro.
Ma il bipolarismo italiano può definirsi efficace? Sicuramente non è canonico: va segnalata, infatti, la regolare presenza di uno o più schieramenti politici che si pongono al centro (dalla coppia Ppi-Patto Segni fino all'Udc di Pierferdinando Casini e all'attuale “Terzo polo”) oppure ai margini dei due poli. Un altro elemento rilevante è la tendenza alla frammentazione politica – attenuatasi in parte soltanto dopo le elezioni del 2008. Le coalizioni principali, specialmente di sinistra, erano caratterizzate da un grande numero di partiti, spesso eterogenei tra loro. In questo contesto, anche le forze di minor spessore, in virtù del loro peso sulla stabilità generale, causavano spesso tensioni e spinte centrifughe (Grilli di Cortona, 2007). La crisi del primo governo Berlusconi, pochi mesi dopo il suo insediamento, e le claudicanti coalizioni guidate da Romano Prodi sono esempi calzanti di quanto esposto. Inoltre, se riflettiamo bene sul caso italiano, possiamo notare che i due schieramenti principali sono definiti centro-destra e centro-sinistra. Questo ci fa capire che a volte, seppur collocate su posizioni opposte, le due coalizioni possono avere dei tratti in comune, mentre allo stesso tempo, potenzialmente, i singoli raggruppamenti vengono messi alle corde da contrasti interni. L'ulteriore, paradossale effetto della frammentazione politica è proprio questo: in alcune occasioni, le differenze più grandi interessano le dinamiche interne alla coalizione, piuttosto che i rapporti con l'opposizione (Grilli di Cortona, 2007). I punti di contatto tra schieramenti diversi potrebbero anche essere spiegati con la sopravvivenza di alcuni settori della vecchia tradizione politica, sia a livello ideologico che di singoli esponenti, oppure con il persistere di elementi consociativi.
Da un punto di vista istituzionale, la trasformazione della geografia partitica e del sistema politico non è stata corredata “da una riforma costituzionale in grado di tradurre il cambiamento avviato in un assetto più stabile e coerente” (Grilli di Cortona, 2007, p. 82). Gli unici segnali in questo senso sono arrivati dalla riforma dell'amministrazione pubblica varata dal governo Ciampi e, nel 2001, dalla riforma degli enti locali.
Ma un'ulteriore svolta, molto importante, rimane ancora in stand-by: la ridefinizione dei poteri del presidente del Consiglio. In seguito alla riforma elettorale del 1993, il governo ha eroso parte dell'autorità parlamentare in virtù della designazione elettorale del premier (Grilli di Cortona, 2007), ma il potere di scioglimento delle Camere rimane prerogativa del presidente della Repubblica. I capi dello Stato succedutisi negli ultimi anni si sono sempre dimostrati poco propensi a decretare la fine di una legislatura prima della scadenza del mandato, rimediando alle crisi di governo con soluzioni parlamentari, spesso temporanee o poco sicure, che hanno contribuito, insieme alla frammentazione politica, all'indebolimento dei vari esecutivi. Potrebbe quindi rendersi necessario “attribuire al premier quel potere di scioglimento che […] rappresenta un antidoto contro il potere di ricatto dei partiti e un deterrente in grado di aiutare la stabilità di governo” (Grilli di Cortona, 2007, p. 90).