Nepal: fratture e scontri sull’ipotesi di uno stato federale

par crespi enrico
venerdì 25 maggio 2012

Oggi (23\5) una grande e bella manifestazione. Migliaia di persone sono sfilate fino a Durbar Marg (dove c’era la residenza del Re e la strada principale di Kathmandu) per chiedere un Nepal unito, pace e armonia fra le varie comunità. C’erano studenti, professionisti, genete comune distrutta dopo 3 giorni di sciopero e il crescere delle tensioni fra i diversi gruppi etnici e religiosi.
Le uniche bandiere quelle del Nepal.

Una protesta pacifica e partecipata dopo una settimana di scioperi, blocchi del traffico, disordini dei diversi comitati che s'oppongono all'ipotesi di divisione federale, proposta dal governo, su basi etniche. Ipotesi disastrosa per il Nepal.

Eccoci qua, come previsto l’idea di dividere il Nepal in 11 province o stati sta scatenando il finimondo. Idea peggiore non poteva esserci, in un paese formato da 80 gruppi etnici-castali che parlano oltre 50 lingue. La genesi di questa idea è dei maoisti, già propugnata durante la guerra civile, di controllare e strumentalizzare le etnie più svantaggiate (Tharu, Tamang, Limbu) e, in un ottica di regioni indipendenti, avere potere in aree del paese. L’enfasi sulle divisioni etniche, sui gruppi svantaggiati è stata loro, dei donatori internazionali, dei proprugnatori degli “human right” sulla carta. Adesso è appoggiata anche dagli altri due partiti più importanti con la stessa logica, cioè da qualche parte governeremo.

Tutti gli altri, compreso il 73% della popolazione è contrario, si preferirebbe una organizzazione dello stato su basi geografiche e, comunque, unificata. (sondaggio Himalmedia 2012). Cioè quello che stanno richiedendo nel Nepal occidentale fra scioperi e scontri da tre settimane (la Undivided Far West campaigne è stata sospesa solo oggi). La gente è più saggia d’esperti e politici come spesso accade. 

Il buon senso parte da una considerazione statistica: nell’ipotesi avanzata, tutte le regioni\stato avrebbero una maggioranza relativa etnica e ciò produrrebbe divisioni e tensioni all’interno delle stesse regioni. Se prendiamo l’ipotetico Tamsaling, lo stato dei Tamang, vediamo che solo il 56% sono Tamang, il 16% Newari e il resto sparsi fra tutti gli latri gruppi etnci. Nello stato dei Newari (Newa, che comprenderebbe Kathmandu) questi sono il 46,7; nel Magarat, i Magar sono il 41,3. I gruppi etnico-castali più importanti (Bahun, Chetri e Dalit) non avrebbero un proprio stato e sarebbero un importante minoranza (mediamente il 10%) in tutte le 11 regioni. Per questo bloccano Kathmandu da qualche giorno e chiedono che il riconoscimento di “Chhetris, Thakuris, Dashnamis and Brahmins (Bahuns) and other caste groups as Adivasi Janjatis (indigenous nationalities)and provide them all the facilities and reservations enjoyed by the latter group.

Ma anche il Madhesi People´s Rights Forum sta per lasciare il governo e iniziare scioperi contro la divisione del Terai, che loro volevano unico e da loro controllato. La Nepal Federation of Indigenous Nationalities (NFIN) protesta anch’essa per le minoranze (fra cui i musulmani) che si sentono discriminate. Quando si frammenta tutti vogliono qualcosa in più e tutti invidiano quanto ha ottenuto il vicino. La costruzione del nuovo stato permane complessa, un’opera incredibile più il paese si divide. Rimangono aperte tante questioni fondamentali come la divisione dei poteri fra Presidente e Primo Ministro, il rapporto fra stato e ipotetiche regioni, il loro nome, l’equilibrio con il potere giudiziario (da riformare), gli enti locali a livello di villaggio, etc.

Cose che passano sopra la testa della gente che, semplicemente, vorrebbe che il paese fosse amministrato da qualcuno in grado di farlo, senza tante chiacchiere sui diritti delle minoranze, il sistema elettorale finnico, la divisione dei poteri. Il sondaggio citato esprime questa posizione, le maggiori preoccupazioni rimangono nella crescita incontrollata dei prezzi (92%) e nella dilagante corruzione (64%) che toglie risorse allo sviluppo economico, cioè i problemi pratici delle persone schiacciate da poco lavoro e poche opportunità.

Dobbiamo pensare che il Nepal ha rimesso in circolo il sistema parlamentare solo nel 1990 e dopo 22 di questa esperienza (con oltre 30 governi e una rivoluzione) il risultato è un paese in continua ricostruzione e non governato. Prima, il Re governava nominando parlamento e governo e tanti rimpiangono quei tempi. Quando nel 2005, Re Gyanendra prese pieni poteri tanti nepalesi festeggiarono. Oggi quando và nei suoi tour spirituali, file di persone lo venerano e chiedono una tika dalle sue mani. Può anche darsi che il trapianto in Nepal del sistema parlamentare ottocentesco occidentale non funzioni e che tanti esperti occidentali che hanno predicato i diritti delle minoranze, la protezione dei gruppi etnici svantaggiati, la creazione di istituzioni complesse e farraginose abbiano provocato più danni che benefici. Forse qui e altrove servirebbe qualcosa di nuovo.

Quando qualcuno in Nepal proclama un bhanda (sciopero) o chakra bhanda (sciopero delle ruote) non è uno scherzo, nessuno può circolare. Negli anni li hanno proclamati un po’ tutti: maoisti, congresso, UML, monarchici, studenti e adesso è il turno dei molti comitati che difendono i vari gruppi etnici o castali. Quando c’è un bhanda se qualche mezzo cerca di forzare il blocco è fritto. Le auto sono prese a pietrate, alle moto vengono portate via le chiavi e, a volte, bruciate; i veicoli dei giornalisti, di norma, incendiati. Anche le ambulanze sono guardate con sospetto perché, spesso, diventano un bus collettivo. Gli unici che possono circolare, di solito, sono i risciò che fanno affari d’oro. Per l’economia è un disastro perché ogni rifornimento è bloccato (già di solito manca benzina, cherosene e corrente elettrica).

Kathmandu diventa un posto irreale, torna indietro di decenni senza auto, rumore, inquinamento. Sarebbe bello, ma la gente è incazzata; non ne può più di vedersi bloccata a casa, con i negozi in penuria di genere alimentari, qualcuno distrutto perché apre. Forzature del bhanda sono state segnalate in diverse parti di Kathmandu con scontri fra la gente e i manifestanti. Qualche volta è intervenuta la polizia con un centinaio d’arresti. Sono mobilitati oltre 6000 uomini ma gli stessi comandanti dichiarano di non essere in grado di mantenere l’ordine. Adesso è stato proclamato un nuovo sciopero, finito quello dei Chetri, Bhaunu, da parte del NEFIN (Nepal Federation of indigineous nationalities) e del Agitating Indigenous Nationalities Joint Struggle Committee (NJSC). Nel Terai inizia quello dei Mahadeshi, ma tutto il Nepal è in agitazione.

All’interno di queste organizzazioni (la cosidetta società civile) s’agitano politicanti e gente in cerca di visibilità, facili consensi, demagogia diretta a cercarsi una base elettorale per le prossime elezioni. Alle conseguenze di questa cagnara non ci pensano. Le ragioni le abbiamo viste in altri post e la sensazione è che al governo stia sfuggendo il controllo della situazione. Ormai qualsiasi soluzione si propone trova qualcuno contrario che inizia uno sciopero. Come sempre in questi casi si cerca un nemico su cui far confluire la protesta: gruppi terroristici, monarchici, potenze straniere. Questo è il senso delle ultime dichiarazioni del governo, maggiore responsabile di questo immenso casino.

Sarebbe bastato proporre la divisione in quattro province geografiche, dotate di qualche potere federale e nessuno avrebbe scoperchiato il pericolassimo pentolone avvelenato delle varie etnie.

Per la cronaca il NEFIN, l’agitatissimo comitato che sta cercando visibilità politica creando mare di casini, è stato finanziato, fra gli altri, dall’Unione Europea e dalla ONG Care, complimenti. Un altro disastro da imputare ai donatori internazionali e ai teorici della “società civile”, disvantaged groups e protection of ethnic minorities


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