Negazionismo turco. La Francia legifera sul genocidio armeno

par Fabio Della Pergola
venerdì 23 dicembre 2011

Una legge che punisca il reato di “negazionismo” è sempre una brutta legge. Sfido chiunque a difenderla in punta di diritto.

La libertà di opinione (che comprende parole e scritti) non può essere limitato, se non a scapito dei valori costituzionalmente definiti chiamati diritti civili; diritti per la difesa dei quali molti hanno impegnato e a volte perso la vita. Superfluo citare la solita tiritera del “sono disposto a dare la vita perché l’altro abbia il diritto di dire la sua”. Frasi roboanti dal sapore antico. Ma il contenuto resta: può sopravvivere a lungo una democrazia che per difendere il ricordo doloroso degli uni, taciti gli altri a suon di manette?

Detto questo, il problema del negazionismo resta e non è problema da poco. Ne sanno qualcosa i sopravvissuti ebrei dei campi di sterminio che hanno voluto rivivere l’orrore subìto accompagnando anno dopo anno carovane chiassose di adolescenti entrati baldanzosi nei luoghi della memoria ed usciti poco dopo piangenti, se non in stato di choc.

Sono quegli stessi testimoni che a parole tremanti ricordavano lo strazio e, accanto, si trovavano a dover sopportare le ricostruzioni fantasmagoriche di chi, senza mai essere stato internato, ne decretava la falsità sulla base di ipotesi che la maggior parte degli storici rifiuta con sdegno o sarcasmo.

Dopo i vari negatori della Shoah di varia origine, adesso tocca ai turchi difendersi dalla nuova legge francese che stabilisce il reato di negazionismo dello sterminio degli armeni. E, in contraltare, tocca agli armeni vedersi finalmente riconosciuto il trauma che da quasi un secolo dicono, raccontano, ricordano, ricostruiscono trovando solo orecchie poco attente, ma anche la caparbia, puntigliosa, astiosa contrarietà di tutti i governi turchi fino ad oggi.

Si tratta di quegli stessi turchi che, dopo aver aizzato i curdi – sanguinaria manovalanza della mattanza armena del 1915 – poi ha partecipato con ardore, al fianco di siriani, iracheni e iraniani alla decennale persecuzione degli stessi curdi.

Ma si tratta anche di quei turchi che si sono baldanzosamente proposti sulla scena mediorientale come nuovo potente difensore dei diritti palestinesi in lotta per l’autonomia e l’indipendenza; andando a sfidare per interposta persona l’inflessibile governo israeliano.

E che, oggi, si trovano ad ammassare truppe al confine siriano con i motori accesi in attesa di luce verde dalla Lega Araba.

La Turchia dà e riceve sonori ceffoni da quando si è impegnata in una politica estera “forte”, non più tacitamente succube dei voleri della Nato (com'è stata finora tranne che quando si trattava di fare a botte con i greci), ma pericolosamente in bilico tra il rancore degli ex alleati di Gerusalemme e la preoccupata attenzione di Teheran, tra la malcelata avversione egiziana, gelosa del ruolo da protagonista che Erdogan si è ritagliato fra le masse arabe e il livore del governo siriano. Per tacere di Europa e Stati Uniti.

La legge antinegazionista francese apre “ferite irreparabili” con Parigi ha affermato il premier turco, ritirando a tempo indeterminato il suo ambasciatore, che va ad ingrossare le fila degli ambasciatori virtualmente senza sede, dopo l’attacco all'ambasciata di Damasco ed il ritiro da Tel Aviv.

Eppure riconoscere quello che anche storici turchi come il pluriperseguitato Taner Akçam hanno ammesso essere stato uno sterminio pianificato e perseguito manu militari di centinaia di migliaia di civili armeni, non dovrebbe essere così terribile. E’ accaduto quasi un secolo fa, ma l’orgoglio nazionale turco non accetta di ammettere quello che tutti sanno e dicono. La Turchia, tra questione armena, questione curda e ricostruzioni negazioniste della storia, non ha le carte in regola per dare lezioni di diritti civili a nessuno. Almeno fino ad ora.

Il rapporto annuale 2010 di Amnesty International non fa certo sconti, nemmeno alla neodemocrazia islamista di Recep Tayyip ErdoÄan.


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