Napolitano: l’inevitabile, stucchevole, retorica di fine anno

par paolo
giovedì 2 gennaio 2014

Giorgio Napolitano alle ore 8,30 del 31 dicembre 2013, ci consegna a reti unificate il suo atteso (e boicottato) discorso di fine anno; per la cronaca l'ottavo del suo mandato come Presidente della Repubblica. Confesso che ho faticato a seguirlo, percependo un sottile fastidio pur sapendo che fa parte del suo ruolo istituzionale.

Il "discorso di fine anno" alla nazione è uno di quegli appuntamenti che cerca di rendere percepibile la vicinanza delle istituzioni ai cittadini. Proprio in ragione della sua natura istituzionale è fatalmente scontato che cada nella retorica, a volte stucchevole come in questo caso, altre volte irritante come quando a pronunciarlo era un premier al di sotto di ogni sospetto quale Silvio Berlusconi. Per fortuna almeno questo ce lo siamo risparmiato.

Inevitabile quindi che la sintesi di un anno di vita sociale si riduca alla mera denuncia di ciò che si poteva fare e non si è fatto, all'elenco dei passi necessari da intraprendere per uscire dalla crisi economica più grave del dopoguerra, ai buoni propositi per il futuro e quindi gli auspici a risolvere gli spinosi problemi esistenziali che affliggono molti cittadini. Insomma, quel tono del buon padre di famiglia, a tratti però deciso e quasi minaccioso, nel clima ovattato delle festività natalizie, che non deve tuttavia trarre in inganno. Siamo pur sempre sul piano delle parole, i fatti purtroppo sono un'altra cosa.

Ma la novità di quest'anno è che Giorgio Napolitano ha esordito in stile Mario Pio, personaggio televisivo e radiofonico di sordiana memoria, leggendo alcune lettere inviate da cittadini disperati. Quella di Vincenzo, disoccupato a 61 anni dopo una vita da imprenditore, che nella sua disperazione lancia l'appello" che non siano i semplici cittadini a fare sacrifici, ma che anche i politici facciano la loro parte ". Daniela che è in pena per il suo fidanzato che a 44 anni è troppo vecchio per trovare un lavoro e troppo giovane per la pensione. Poi c'è quella di Marco che denuncia la gravità della situazione degli "esodati" oppure quella di un padre di famiglia che ha il dilemma se pagare le tasse o comprare il minimo per la sopravvivenza dei suoi due figli (io non avrei dubbi, ndr). Insomma il Presidente Giorgio Napolitano, in questa fatidica ricorrenza, ha voluto rendere partecipi gli ascoltatori (circa 7 milioni solo sulle reti RAI) dei casi di disperazione che attraversano il paese da nord a sud, come se i cittadini fossero ciechi e sordi o che non provassero direttamente sulla loro pelle, a differenza della casta a cui anche "Re Giorgio" appartiene, tutte quelle disgrazie che poche letterine non possono certamente elencare.

E' evidente che non ho mai nutrito particolare simpatia per questo presidente, già comunista quando io ho iniziato ad essere comunista, ma di una specie particolare che potremmo definire antesiniana a quella che poi è stata la linea guida del partito che ha prodotto per quasi mezzo secolo una finta opposizione alla peggior destra europea. Era l'uomo dei compromessi, degli equilibri col bilancino, dei distinguo, insomma un "equilibrista politico" con i fiocchi che non poteva non piacere a tutti, destrorsi e sinistrorsi. E difatti così è stato, se persino Silvio Berlusconi, che vede i "comunisti" come il fumo negli occhi (Putin a parte) lo aveva santificato come "il miglior presidente", salvo poi rimangiarsi tutto quando si è accorto che la sua strumentale manovra di "pacificazione" non approdava all'agognato salvacondotto giudiziario. Adesso ne chiede le dimissioni. 

Tuttavia ho trovato piuttosto becerotto l'invito dei soliti sfascisti nazionali, mi riferisco soprattutto al neoeletto segretario della Lega Matteo Salvini e al leader dei grillini Beppe Grillo, a "boicottare" Napolitano. Nessuno mette in discussione la legittima scelta di ognuno di ascoltare o meno, quindi nulla da dire se Salvini dichiara in una intervista a Sky: "Ho già in programma di vedere Peppa Pig in tv con mia figlia di un anno", così come è legittimo che Beppe Grillo organizzi in contemporanea al discorso del Presidente un suo personale contro-discorso rivolto ai cittadini intriso dei soliti luoghi comuni, peraltro in una cornice scenica da rivoluzionario sudamericano, in cui torna a ribadire l'intenzione di portare in votazione al Parlamento la proposta di "impeachment di Napolitano". Fatti loro, ma ci sono momenti in cui sarebbe dovuto il rispetto istituzionale, non verso l'uomo in quanto tale ma verso il ruolo che rappresenta. Non foss'altro per cercare di salvare quel minimo di senso di appartenza e di unità nazionale che ancora rimane, senza sbracare nello sfascismo totale. Una democrazia matura è tale se sa salvaguardare quello che nella forma di "garbo istituzionale" si traduce in sostanza nel rispetto dei ruoli istituzionali.

Comunque l'invito al boicottaggio mediatico, stando ai resoconti di agenzia, è miseramente fallito, dal momento che oltre dieci milioni di cittadini hanno ascoltato la diretta a reti unificate (Sky e La 7 compresi).

Resta tuttavia un senso di disagio latente per un appuntamento di fine anno che sta inevitabilmente scivolando nella retorica più scontata, a volte anche indisponente, che invece di raccogliere i cittadini attorno alle istituzioni, in primis quella massima della Presidenza della Repubblica, tende ad esacerbare gli animi. Inevitabile cioè quella subconscia percezione del "senti da che pulpito viene la predica" che accompagna il tribuno di turno, anche quando riveste un ruolo istituzionale fondamentale come nel caso specifico. Trovi sempre l'obiezione facile ma graffiante: "Parla dei duri sacrifici fatti dagli italiani, ma quali italiani? Cominci lui a rinunciare ecc...". E' inevitabile che succeda quando politica ed istituzioni vivono distaccati dal paese reale. Due mondi parallelli che non si incontrano mai, che non riescono a trovare una sintesi comune.

Quindi meno proclami altisonanti, per quanto autorevoli, e più fatti concreti porterebbero certamente più acqua al mulino della credibilità istituzionale e tarperebbero le ali a tutti gli sfascisti che prosperano in questo paese.


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