Napolitano e la trattativa infinita

par Francesco Scolamiero
mercoledì 27 giugno 2012

Dopo il boom di Grillo non sentito, ecco la trattativa Stato-Mafia che rinfocola le discussioni sul Presidente Napolitano. Il problema però non è il Presidente Napolitano è la carica che ricopre o meglio il Palazzo dove risiede. Il Quirinale è l'emblema della trattativa continua e infinata del nostro Paese, non importa il colore politico dell'inquilino, è il Palazzo che è 'democristiano'.

Premessa: non sono un sovversivo, ma spesso mi capita di riflettere sulla funzione del nostro Presidente della Repubblica. La nostra Costituzione ne delinea il ruolo che, come ben sappiamo, prevede poteri limitati rispetto a quelli di una Repubblica presidenziale, in ogni caso, negli anni ho sempre avuto l’impressione che fosse il Presidente dai ‘cento messaggi’, ovvero una serie di messaggi predefiniti da tirar fuori in determinate occasioni.

C’è un terremoto, messaggio del Presidente: "Siamo vicini alle popolazioni, il Paese non vi abbandonerà".

C’è un attentato, messaggio del Presidente: "Il popolo italiano respinge questa assurda barbarie, mai come in questo momento siamo vicini".

C’è un incidente sul lavoro, messaggio del Presidente: "La nostra costituzione lo ricorda, siamo un Paese fondato sul lavoro, la sicurezza è fondamentale".

Poi c’è anche quello sportivo: "Tutto il Paese si stringe a voi per questa memorabile impresa sportiva".

Insomma, cambia il Presidente, ma i messaggi sono uguali. Un bravo ghost writer cambia qualche verbo, inverte qualche frase, ma il succo del messaggio è sempre lo stesso. Molti diranno che i poteri sono quelli che sono, non c’è spazio di manovra più di tanto, questo è vero, ma è anche vero che un Presidente di tutti potrebbe abbandonare la classica retorica (i famosi 100 messaggi) e usare una sorta di ‘moral suasion’ per stare al passo con i tempi, stimolare il Parlamento e il Governo, diventare veramente una sorta di ‘watchdog’ della politica: i suoi poteri glielo consentono.

Tra quelli che ho conosciuto, non ricordo un grosso contributo alla crescita di questo Paese. Pertini era una brava persona, ma se il Partito Socialista e Craxi era il male assoluto, lui ne era uno dei massimi dirigenti. Fu lui, per di più, a conferire l’incarico al leader socialista, in ogni caso troppo schierato.

Cossiga è stato molto attaccato per le sue ‘picconate’, che però, in fin dei conti, non erano altro che sassolini che voleva togliersi dalla scarpa. Poi, il suo atteggiamento della serie "io so tutto quello che è accaduto in questo Paese però non posso dirvelo perché non siete all’altezza di capire", mi dava proprio fastidio.

Scalfaro è stato un democristiano fino in fondo: la sua gestione, compresa la difficile situazione del biennio 92-93, non poteva essere diversa.

Ciampi era un tecnico che forse poteva meglio consigliare/indirizzare i governi, soprattutto dopo l’introduzione dell’Euro. Ha puntato su un approccio risorgimentale quando, invece, c’era da sorvegliare il passaggio storico alla moneta unica.

E infine Napolitano. Si parla tanto di governo del Presidente, di come ha saputo veicolare il sostegno a Monti, in realtà il governo tecnico ci è stato imposto dall’esterno e Napolitano, come tanti, ha creduto davvero che solo i tecnici ci avrebbero potuto tirar fuori dai guai. Lo spread sta lì a dimostrare il contrario.

Pur non essendo un fan dei 5 Stelle, non mi sono piaciute le sue battute sul Movimento di Grillo, perché significa innanzitutto non aver rispetto di una parte dell’elettorato, ma anche di non comprendere la richiesta di rinnovamento che c’è nel Paese.

Ora è scoppiata l’ultima grana, riguardo le intercettazioni Napolitano-D’Ambrosio-Mancino, a proposito delle inchieste palermitane sulla trattativa Stato-Mafia all’indomani dell’attentato di Falcone. I politici e i maggiori giornali italiani, subito, hanno difeso il Presidente, anche loro con le solite frasi già predefinite ‘Rispetto per la carica’, ‘Il Presidente rappresenta l’unità del Paese’ e via dicendo.

La questione, a mio parere, forse è più semplice: il Quirinale è democristiano, cioè è proprio il Palazzo, i suoi funzionari, l’aria che si respira, tutto è ‘democristiano’. Quando si sta fuori si fanno fuoco e fiamme e poi, quando si entra, a prescindere dal partito a cui si appartiene, si diventa democristiani e l'unica preoccupazione diventa difendere lo ‘status quo’.

Non si grida più, si imparano a memoria cento frasi e si cerca di far star tutti buoni. Il problema, quindi, non è Napolitano, non è che vuole coprire Mancino o le trattative Stato-Mafia: è proprio la natura democristiana del Palazzo che ha insita la trattativa. Con il PSI, ma anche con il PCI; filo-americani, ma anche filo-arabi; contro la massoneria ma anche massoni; contro i gay ma gay loro stessi; contro la mafia degli attentati, ma con la mafia della cementificazione; nell’euro ma anche fuori. Sono settant’anni che stiamo trattando: è una ‘trattativa continua’ senza soluzione di continuità.
 


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