Napolitano doppiamente fuori dal suo ruolo

par Federico Punzi
venerdì 15 aprile 2011

"Valuterò gli effetti della legge sul processo breve quando si avvicinerà il momento della sua approvazione definitiva". Questo il senso della frase pronunciata ieri da Napolitano, scivolato questa volta doppiamente al di fuori delle sue prerogative costituzionali. Innanzitutto, perché lascia intendere un suo esame preventivo del testo, durante l'iter legislativo, interferendo dunque con il lavoro del Parlamento, mentre a lui spetta eventualmente di rinviare la legge alle Camere ma solo una volta approvata. E poi perché al capo dello Stato spetta verificare se una legge approvata presenti profili di evidente (ripeto: evidente) incostituzionalità, mentre la responsabilità degli «effetti» particolari di una legge è prettamente politica, riguarda quindi il Parlamento e la sua maggioranza, non certo il presidente della Repubblica, per la Costituzione politicamente "irresponsabile".

Quella sul processo breve è una legge che certamente si inserisce nel contesto della lotta tra Berlusconi e le procure politicizzate che tentano di sovvertire il sistema politico, e quindi in questo senso si può definire una legge ad personam, il cui scopo cioè è di difendere il premier dagli assalti dei pm. Ma nel merito non è affatto scandalosa per i cittadini. Si spera che fissare la durata massima dei processi costringa finalmente chi deve esercitare l'azione giudiziaria a fare i conti con le risorse - materiali ed umane - che ha a disposizione (sempre scarse per definizione), dando la precedenza ai processi che possono effettivamente essere portati a termine positivamente (già oggi si registrano circa 170 mila prescrizioni l'anno, delle quali almeno il 70% matura nei cassetti dei pm, prim'ancora di arrivare dinanzi a un gip). E a non perseverare, per esempio, con un processo, come quello Mills, che non ha alcuna speranza di portare ad una condanna definitiva (la prescrizione interviene all'inizio del 2012, per effetto delle norme attuali non delle nuove, e nonostante i pm l'abbiano allungata artificiosamente), solo per ottenere una condanna in primo grado da usare politicamente contro l'imputato.


Stiamo parlando comunque, nelle condizioni minime (in caso di reati minori e di incensurati), di 6 anni, che non è esattamente un tempo così «breve» come si vuol far credere, molte volte un tempo più lungo della pena prevista per il reato perseguito, considerando anche che la durata del processo va ritenuta di per sé una forma di pena.

Nel dibattito politico e mediatico sulla questione c'è poi un grosso e pericoloso equivoco. Al di là della sua legittimità ad esprimersi o meno in termini politici su leggi ancora all'esame del Parlamento, è gravissimo soprattutto nel merito quanto afferma il Csm: in nessun caso infatti è accettabile paragonare le prescrizioni, per quanto "di massa" possano essere, ad «un'amnistia». Tali paragoni dimostrano la concezione della giustizia e dello stato di diritto che hanno quanti li sostengono. Parlando di amnistia infatti si dà per scontato che gli imputati che usufruiranno delle nuove norme siano colpevoli, mentre in presenza di prescrizione non si ha alcun verdetto. Semplicemente, trascorso un determinato periodo di tempo, lo Stato decide che non ha più interesse a perseguire un certo reato. Gli imputati che si vedono prescritto il reato non sono affatto "amnistiati", è quindi incivile trattarli come dei colpevoli "graziati". Ed è doppiamente incivile - ed inquietante - che a farlo sia il supremo organo di governo della magistratura.

C'è un altro aspetto dei tempi di prescrizione che non si prende in considerazione. Si confonde la possibilità per lo Stato di perseguire un reato anche se viene scoperto molti anni dopo (possibilità limitata dalla prescrizione, appunto) con l'estensione temporale indefinita del processo. In altre parole, una cosa è che sia possibile perseguire un reato e il presunto colpevole pur avendoli scoperti solo dopo 10 anni dall'epoca dei fatti; tutt'altra cosa è che scoperto subito un reato ci si mettano 10 anni o anche più per condannare o assolvere i presunti colpevoli. Nel primo caso, si possono stabilire tempi anche molto lunghi a seconda della gravità del reato; nel secondo, i tempi lungi sono semplicemente inaccettabili per qualsiasi reato. La ratio dei tempi di prescrizione non è quella allungare la durata del processo (tanto abbiamo tempo, possiamo prendercela con calma!). Per un motivo semplicissimo. Prendiamo, per esempio, il processo sulla strage di Viareggio, di cui si è molto parlato proprio per gli effetti che avrebbe su di esso il processo breve. Ebbene, le nuove norme ridurrebbero i tempi massimi per la sua conclusione di un anno: dal 2024 al 2023. Ma stiamo parlando di un reato eventualmente commesso nel 2009 e scoperto immediatamente. Ora, se in 14 anni non si riesce ad arrivare ad una sentenza definitiva, o si deve accettare il fatto che gli imputati non sono poi così colpevoli come si crede, oppure che la pubblica accusa è stata incapace e dunque è con essa, non con i tempi di prescrizione, che i parenti delle vittime dovrebbero prendersela.


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