Napolitano, CL e lo sbadiglio. La colpa è nostra

par Luca Sappino
lunedì 22 agosto 2011

Prima ho dato un giudizio sintetico. Poi, considerato il tanto entusiasmo, i titoli strombazzanti dei giornali, dei blog, delle pagine e degli amici su Facebook, ho visto l'intervento integrale di Napolitano a Rimini. Volevo capire. E ho capito. 

Ora ho un giudizio meno approssimativo e più puntuale su questo discorso.

Il giudizio è un enorme sbadiglio, preceduto dalla delusione per la cravatta che manca, cominciato con la retorica sull'unità d'Italia (quando dice retoricamente che siamo stati bravi a non celebrare retoricamente l'Unità), proseguito con il passaggio sull'"andare avanti guardando indietro", e poi terminato con la prevedibile doppia tirata d'orecchie, una al governo che nega la crisi, l'altra all'opposizione che critica e basta.

Un lungo sbadiglio, dunque, interrotto da due picchi di attenzione. Il primo sull'accenno - tanto timido quando apprezzato - al superamento del Pil e alla sua inadeguatezza e parzialità rispetto all'obiettivo alto della felicità.

Il secondo - tanto marcato quando sfortunatamente scontato - sulla sviolinata a Ratzinger e alla "collaborazione tra comunità civile e religiosa". Poi basta.

Gli appelli alla buona volontà di Lupi e Letta sono stati dosati in quantità tale da risultare soporifera come il dolce troppo dolce a fine pasto, quando in bocca, nonostante gli zuccheri, ti rimane solo il sapore un po' amaro della politica che, «politica di tutti», va sempre negli stessi posti, sempre a ringraziare gli stessi poteri, gli stessi organizzatori. Troppo cattivo? Irriverente? Non credo. E, anzi, non voglio, o non vorrei. Perché la colpa non è di Napolitano. Quello è pure bravo, ogni tanto, quando si applica, si dimostra capace.

Lui prova e va apprezzato per questo. La colpa è del ruolo, della parte in commedia, e delle nostre aspettative. Il personaggio è troppo sfigato per emozionare più di così. E siamo noi a caricarlo troppo. Siamo noi, così insoddisfatti dal resto, delusi da chi dovrebbe entusiasmarci, dai capi di partito, capi popolo, di corrente, della televisione, a cercare lì rifugio, una luce.

E siamo noi, tutti noi, che quando finirà Berlusconi, quando smetteremo di cercare con ansia un nostro Re da contrapporre al Sultano, ci renderemo conto che il Presidente della Repubblica, chiunque sia, è una cosa di una noia mortale. Ed è giusto che sia così.

È una cosa dell'altro secolo, un mito che, senza alternative, bisognerebbe almeno ricondurre con forza nel perimetro delle cose umane, che alle volte soddisfano, spesso deludono e altre lasciano semplicemente indifferenti.


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