Movimento dei forconi: giù le mani dai movimenti popolari

par Angelo Lo Verme
martedì 24 gennaio 2012

Enorme, triste, dolorosissima per perdite di vite umane e rischi ambientali la tragedia del naufragio della nave da crociera Costa Concordia, partita la sera del 13 gennaio scorso da Civitavecchia e naufragata nella notte del 14 sugli scogli dell’Isola del Giglio, in Toscana.

Da allora, però, tutti i media televisivi e della carta stampata non hanno fatto altro che parlarne a tutte le ore del giorno e della notte, in una maniera davvero eccessiva e pure stomachevole, come se nel frattempo in Italia non fosse più successo nient’altro degno di nota.

Importava solo parlare maniacalmente di capitani coraggiosi e di capitani conigli. Anzi no. per la precisione, si parlava e si continua a parlare pure, quasi con la stessa morbosità, del piano di liberalizzazioni del governo Monti, come se qualche taxi e farmacia in più fossero la panacea per il problema dello sviluppo economico in Italia.

In realtà, dalla notte di lunedì 16 gennaio in Sicilia sta succedendo un 48; eppure i più importanti media nazionali per i primi giorni non ne hanno fatto nemmeno cenno, tranne qualche eccezione, e ora che il 48 è dilagato uscendo anche dai confini regionali, quindi non potendo più tacerlo, gli dedicano appena qualche minuto, sempre a parte qualche eccezione che interpreta il ruolo dell’informazione come una missione al servizio della cittadinanza intera, e non come un servizio da rendere a solo una parte, qualsivoglia che sia.

Dal 16 gennaio, infatti, il Movimento dei Forconi, nato da qualche tempo in Sicilia, ha predisposto dei blocchi stradali in ogni parte dell’Isola a cui stanno partecipando agricoltori, allevatori, pescatori, autotrasportatori, commercianti, semplici cittadini e studenti, accomunati tutti dalla nausea nei confronti di una classe politica che li ha già ridotti sul lastrico e ne ha compromesso gravemente il futuro, di cui auspicano il completo azzeramento per poter riscrivere la storia siciliana più dignitosamente.

Ciò che maggiormente si chiede come prima misura urgentissima è la riduzione delle accise sui carburanti, il cui prezzo ormai insostenibile ha messo in ginocchio la già disastrata economia siciliana. Fra l’altro è ancor più alto che nel resto d’Italia; a Lampedusa ad esempio la benzina è già oltre i 2 €. La beffa poi, oltre al danno, è che il 44 % del petrolio italiano viene raffinato in Sicilia.

Ora molti distributori hanno esaurito le scorte di carburante, nei supermercati gli scaffali sono semivuoti, cominciano a scarseggiare molti beni di prima necessità, ma il governo italiano sembra insensibile a tanto caos, e procede spedito negli incontri londinesi per soddisfare interamente le richieste molto impopolari dell’Europa e riacquistare quella credibilità internazionale necessaria per attirare compratori di debito pubblico il quale viste le manovre repressive e, dunque, senza possibilità alcuna di sviluppo e un adeguato aumento del Pil, crescerà inesorabilmente in un circolo vizioso che avrà fine solo col definitivo default italiano.

Venerdì 20 gennaio, anche a Canicattì gli studenti dei due Licei e dell’Istituto Tecnico e Commerciale si sono uniti alle istanze del Movimento dei Forconi, manifestando per il Corso principale della città, il Viale Regina Margherita.

Intorno alle 10.30 il corteo, preceduto da un l’Apino con sopra due striscioni avvicendatisi con le scritte “Monti e la benzina ci portò alla rovina”, e “Attento Monti: l’Italia non è la Concordia”, è partito dalla Villa Comunale fino a raggiungere lo spiazzo antistante la Chiesa di San Diego per far sentire anche la loro voce di giovani privati della speranza d’un futuro, i cui padri si sono già visti negare di fatto un presente dignitoso, con salari e stipendi con sempre meno potere di acquist e con un comparto agricolo in via di estinzione per una città che grazie agli ottimi vigneti di Uva Italia, negli anni novanta fu annoverata fra i 100 Comuni più ricchi d’Italia.

A proposito delle tante manifestazioni che si stanno susseguendo da diversi giorni in molti comuni siciliani, c’è da dire che da alcuni giorni il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello denuncia infiltrazioni mafiose. Allarme fra l’altro ritenuto giustificato dal Procuratore Capo di Palermo Francesco Messineo; così i leader del Movimento dei Forconi incitano Lo Bello ad indicare nomi e cognomi, perché non ci stanno affatto a venire strumentalizzati da chi vuole cavalcare l’onda d’una protesta nata nel popolo per il popolo.

I forconi sono, ed erano, nobili strumenti di lavoro, che in passato venivano usati, per necessità, anche come armi per rivendicare quei diritti elementari negati dallo strapotere dei nobili e degli sgherri che gli orbitavano intorno. Il simbolismo oggi è perfetto. Movimenti come Forza d’Urto, nelle cui retrovie si agitano esponenti di estrema destra come il movimento Forza Nuova però, che si mischiano nella protesta rivendicando per il popolo diritti che ideologicamente non gli apparterrebbero poi molto, puzza un tantino.

E se dietro ci fossero i soliti gattopardi che storicamente della Sicilia e dei siciliani se ne sono fregati una beata mi…? Il dubbio nasce spontaneo, dato che le amministrative in molti comuni siciliani sono alle porte.

Il Movimento dei Forconi rivendica, molto giustamente, molto opportunamente, il suo carattere di movimento apolitico e apartitico, poiché le difficoltà economiche, se non la fame, non hanno alcun colore ideologico; solo la fame si dice che è nera. C’è pure da dire però che un tempo (oggi non si capisce bene) erano i partiti di sinistra a soddisfare le istanze del popolo, che in Sicilia comunque, subito dopo Portella delle Ginestre, hanno avuto sempre un consenso insufficiente.

La Dc in Sicilia ha potuto regnare incontrastata per decenni, grazie a una politica clientelare ancora radicatissima nella cultura di votanti e votati, facendo leva sui bisogni elementari della gente, mai definitivamente risolti proprio per perpetuare tale prassi e potersi così autoperpetuare politicamente. Ancora oggi sembra che si voglia fare facile leva su questa cultura, dato che i bisogni sono rimasti immutati e oggi semmai sono ancor più inaspriti dalla crisi economica mondiale.

Si spera che in questa nuova fase storica di maggiore consapevolezza popolare, i trasformismi dell’ultima ora, i gattopardismi spericolati, vengano individuati sul nascere e interpretati dalla gente soltanto come tali. Dubito che gli antiequitalia come Zamparini, come del resto gli aspiranti salvaitalia come i Montezemolo e i Della Valle più a nord, possano sentire intimamente le difficoltà di non arrivare alla fine del mese, o di non sapere nemmeno come cominciarlo.

O che riescano a percepire, ma a livello epidermico, la frustrante disperazione di chi ormai sa di dover lavorare (chi ne ha la fortuna fra l’altro) per un tozzo di pane e per pagare solo rate di bollette da tempo scadute e molti farmaci. Magari lo sanno intellettualmente. Anzi, di sicuro intellettualmente conoscono i problemi della gente, e quindi probabilmente cercano di cavalcarli, strumentalizzarli, per prendere il potere con promesse populiste e poi non mantenerle, poiché il vero fine era salvare se stessi;

come fece un loro predecessore ignominiosamente caduto il dodici novembre scorso sotto le mazzate dello spread, ma che ancora ha ampi margini di manovra in Parlamento. Sì, certo, anche questi movimenti popolari hanno nel dna un profondo, radicato conflitto d’interessi: l’interesse, il bisogno, l’urgenza della sopravvivenza. Gli altri invece sembrano soltanto in coda per il dopo Berlusconi e il dopo Monti.


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