Morire di lavoro

par Antonella Policastrese
lunedì 9 luglio 2012

Morire di lavoro. Alzarsi una mattina per guadagnarsi un pezzo di pane e non sapere se alla sera varcherai ancora l'uscio di casa. E' successo a Crotone, dove una gru che stava per essere smontata sul molo del porto è collassata schiacciando un padre di famiglia che aveva cinquantacinque anni e lasciandone a terra ferito di dieci anni più giovane.

Sette euro al giorno. Vale tanto una vita! Sette euro al giorno per dodici, tredici ore di lavoro, sotto un sole impietoso con un caldo che non dà respiro con un sole che alla fine della giornata ti cambia finanche il colore della pelle. Fa male, lascia esterrefatti sapere di un uomo schiacciato come uno scarafaggio sotto il peso di quel rottame di ferraglia arrugginita. Ti rendi conto in un istante che questa non è vita, che la disoccupazione e la paura di non portare niente a casa fa accettare condizioni di poca tutela. Il lavoro ad ogni costo. Il lavoro prima di tutto.

Ma dov'è il lavoro? E da queste parti se vuoi vivere onestamente e dignitosamente non ci si tira indietro davanti a niente. Non si va tanto per il sottile. Un caporalato che ormai si allarga e prende forma anche nell'opulento occidente, sottoposto a continua cura dimagrante, in nome di una crisi globalizzata che distrugge l'individuo in quanto tale, che gli toglie tutto, che lo porta ad atti inconsueti come il suicidio o morire per pochi spiccioli.

Morire di lavoro, morire di dolore per chi rimane e chiedersi, chiedersi ancora quando finirà tutto questo, semmai finirà davvero.


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