Moody’s minaccia il declassamento dell’Italia: il tempo, per una patrimoniale, stringe

par Daniel di Schuler
sabato 18 giugno 2011

“... Tremonti o no, tutto possiamo fare tranne che rilassare i nostri conti pubblici. Di più: l’introduzione di una patrimoniale diventa sempre più necessaria per mandare un segnale inequivocabile della nostra volontà, come paese, di ripagare i nostri debiti”.

Per comprendere quanto sia importante il giudizio delle agenzie di rating e, più in generale, come operi il mercato, vi invito a fare un giochino. Siete i gestori di una piccola cassa pensioni canadese, non siete avidi speculatori, ma certo volete garantire ai pompieri, agli idraulici o a chiunque siano i vostri clienti, la pensione per cui vi versano i loro denari. Ovviamente siete prudenti e non mettete tutte le uova in un cesto; investite un po' dappertutto sul pianeta cercando di arrivare ad una combinazione ideale tra rischi e guadagni. Una parte dei soldi dei vostri futuri pensionati l'avete investita in Europa; una parte di questa parte in titoli di stato italiani. Fino ad ora ne siete soddisfatti; gli interessi sono stati puntualmente pagati e quei titoli vi hanno reso più di quanto vi avrebbero reso quelli tedeschi. Di più? Beh, certo, anche se non siete un grande esperto di cose europee lo sapete com'è messa l'Italia, lo sapete che rappresenta un rischio maggiore della Germania e non avreste mai fatto correre ai vostri clienti un rischio maggiore senza un adeguato compenso. In quelle due parole, rischio e compenso, sta tutta l'importanza dei voti delle agenzie di valutazione; sono loro a dirvi quanto sia rischioso investire in Italia e, indirettamente, quanto più alto debba essere, rispetto a quello offerto dai paesi più affidabili, il tasso d'interesse che l'Italia deve offrivi per remunerare adeguatamente il rischio che rappresenta.

Se il giudizio sull'Italia cala, insomma, potete metterci la mano sul fuoco, i nostri tassi d'interesse salgono. "Ma devo proprio ascoltarlo, Moody's?". Potreste chiedere. Non siete obbligati a farlo, sapete benissimo che le agenzie di rating non sono infallibili e spesso hanno preso delle grandi cantonate, ma, se non lo fate, il rischio è tutto vostro; se qualcosa andasse male non avreste, nei confronti dei vostri clienti, la minima scusa. Le agenzie di rating continuano ad esistere perchè di solito, piaccia o no, hanno ragione e nel loro giudizio sintetizzano una montagna d’informazioni a cui voi, che pure di finanza ne capite parecchio, non avete accesso o su cui non avete il tempo per riflettere adeguatamente- . La vostra stessa esperienza , poi, non solo vi dice di fidarvi dei giudizi di Moody’s, ma, nel caso questi comportino degli abbassamenti del rating, vi fa drizzare tutte le antenne: dall’Argentina alla Enron alla Lehman Brothers, in tutte le maggiori bancarotte, le agenzie di rating hanno peccato, se per caso, di ottimismo; hanno solo seguito, un precipitoso abbassamento di voto dopo l’altro, queste entità finanziarie verso un disastro che non avevano mai, se non all’ultimissimo momento, anticipato. Fin qui ho cercato, nei limiti delle mie conoscenze, di descrivervi i processi decisionali di un operatore finanziario in una situazione di mercato, ad ogni modo, normale. Tutto diventa assai meno razionale quando, per una qualsiasi ragione, inizia a diffondersi la sensazione che un’azienda o un paese stiano andando verso la bancarotta. E’ in casi simili, come in quelli opposti e per certi versi uguali degli improvvisi aumenti di prezzo di certe azioni, che mi riesce facile spiegare perchè, proprio perchè sono un liberale, non sono un vero liberista e non ho una cieca fiducia nel mercato. Secondo i liberisti, il mercato, con una saggezza tutta sua, alloca le risorse nel modo migliore; è la sua “mano invisibile” a premiare i buoni e punire i cattivi, a far affluire i capitali dove ci sono le migliori possibilità di crescita e a toglierli a chi li sta sprecando. E’ vero, e solo in parte, quando la dinamica dei mercati è lineare ed ordinata; quando, a meno di fluttuazioni minime, domanda e offerta si succedono con continuità.

Quando qualcosa di drammatico si prefigura tutto cambia e il mercato rivela quali siano le vere forze che lo muovono: “greed and fear”, avidità e paura, non prudenza e ragione. Quando il prezzo di un titolo s’impenna prevale l’avidità e, dimenticata ogni prudenza, tutti si precipitano ad acquistarlo, pur sapendolo già sopravvalutato, nella speranza di fare rapidi guadagni. Quando prevale la paura si scatena la fuga; anche se la ragione dice che quell’azienda o quel paese sarebbero ancora solidi, che avrebbero dei margini per recuperare, gli investitori scappano al largo, incassando magari pensanti perdite, per evitare un disastro che, per il solo fatto d’esser ritenuto possibile, con il loro comportamento rendono inevitabile. Per evitare che un simile scenario diventi il nostro dobbiamo evitare ad ogni costo che la sfiducia nell’Italia si diffonda sui mercati; se accadrà la bancarotta sarà inevitabile e velocissima: gli speculatori, che certo esistono e traggono i loro guadagni proprio dal saper approfittare di simili momenti, proprio nel momento cruciale aggiungerebbero il proprio peso alla folla degli investitori in fuga per mandare a fondo il paese. Spero di essere stato chiaro e di avervi aiutato a comprendere che, Tremonti o no, tutto possiamo fare tranne che rilassare i nostri conti pubblici. Di più: che l’introduzione di una patrimoniale diventa sempre più necessaria per mandare un segnale inequivocabile della nostra volontà, come paese, di ripagare i nostri debiti. Era una decisione che, se presa a tempo debito, avrebbe già potuto farci risparmiare decine di miliardi d’interessi; un Italia che avesse un avanzo di bilancio, pur minimale, che iniziasse a fa scendere, anche di un nulla, la montagna del debito pubblico, sarebbe un paese considerato tanto affidabile quanto i più solidi e non dovrebbe pagare, per finanziare il proprio debito, più dei tedeschi. Negare quanto affermo è impossibile, se non indicando chiaramente chi sono i milioni di dipendenti pubblici da licenziare e portando il paese verso un disastro sociale tanto grave quanto quello finanziario. Chiudere gli occhi, sperare che, in qualche modo, la tempesta passi, non solo non serve a nulla: a questo punto è criminale.


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