Moni Ovadia sbatte la porta della comunità ebraica

par Fabio Della Pergola
giovedì 7 novembre 2013

Moni Ovadia ha dichiarato in maniera piuttosto altisonante che se ne andrà dalla comunità ebraica milanese perché - si deduce dal titolo dell’articolo di Silvia Truzzi su Il Fatto Quotidiano - “fa propaganda a Israele”.

La cosa in sé sarebbe legittima, fino a prova contraria. Qualsiasi comunità è libera di decidere a maggioranza se dare un semplice appoggio ai suoi referenti “esteri” o se condividere acriticamente le loro politiche. E con ogni probabilità anche in questa, come in ogni comunità, esisterà una minoranza in disaccordo (mi pare che Jcall - il movimento ebraico internazionale di appoggio ad Israele, ma critico con le politiche di Netanyahu - si sia visto anche a Milano).

Ed è altrettanto legittimo naturalmente che una persona qualsiasi, libero cittadino di questo paese, aderisca ad una “comunità” che è pur sempre una semplice associazione volontaria di altri liberi cittadini fra loro accomunati da interessi culturali, sociali, politici o religiosi, oppure che se ne vada sbattendo la porta.

Ma, leggendo l’articolo, una verità sembra emergere fin dalle prime righe: il problema è che al festival della cultura ebraica organizzata nella città lombarda - Jewish and the city - Ovadia non ce l’hanno voluto. Per la verità non è detto che qualcuno l’abbia nemmeno proposto, ma - dice lui - “qualcuno ha posto il veto alla mia presenza e gli altri hanno ceduto”.

E qui verrebbe fuori un secondo livello di verità: perché Ovadia oggi sarebbe stato boicottato? (Ma non in altre occasioni organizzate pur sempre da comunità ebraiche, a cui è stato invitato nonostante le sue posizioni politiche fossero ben note).

Perché si è da sempre opposto alle politiche del governo israeliano (non solo il governo Netanyahu, ma anche dei precedenti) verso i palestinesi, dice. Quindi - questa è la sua lettura degli avvenimenti - sarebbe stato escluso dal festival per via delle sue opinioni politiche, controcorrente (sempre secondo lui) rispetto al mondo ebraico milanese.

Quindi non di lesa maestà artistica si tratta, ma di scelte politiche. Boicottaggio che ha come obiettivo quello di tacitare una voce critica. Accusa pesante.

È vero che l’artista di origini bulgare - acceso oppositore del nazionalismo ebraico - non riscuote grande simpatie in una comunità, sia di destra che di sinistra, che in Israele vede comunque la realizzazione di quel “focolare ebraico” promesso (o concesso) dagli inglesi novant’anni fa, fattosi stato dopo la tragedia dello sterminio nazista.

Non voglio riaprire qui il tema di chi ha più torti e chi più ragioni. Ognuno rimanga della sua idea e amici come prima. Ma ricordo di aver assistito ad una performance (fortemente politicizzata) in cui Ovadia sosteneva che secondo lui la vera essenza dell’ebraismo era quella della diaspora - cioè di quegli ebrei che non si sono mai voluti fare stato ed hanno continuato a vivere come minoranza in vari paesi - non quella nazionalista che ha dato origine ad Israele.

E infatti sul suo blog scrive "Gli ebrei dell'Europa centro-orientale seppero costruire un capolavoro ineguagliato: una nazione e un popolo dell'esilio, fra i confini, oltre i confini, a cavallo dei confini, una nazione non vincolata a uno specifico territorio, né a vocazioni nazionaliste". 

Non che gli ebrei avessero molta voce in capitolo nel tracciare i confini, ma colpisce la curiosa nostalgia per un passato che non c'è più; dimenticando forse che non c'è più perché gli ebrei della diaspora sono proprio quelli finiti nelle camere a gas. E il loro "capolavoro ineguagliato" è stato distrutto e non è un caso se non ce n'è stato un altro.

Ma forse intendeva parlare di quelli che, anche dopo la shoah, hanno preferito l’idea di continuare ad essere minoranza in casa d’altri: posizione legittima di cui però qualcuno oggi potrebbe essersi pentito; in Ungheria ad esempio o - ricordando i vari attentati alla sinagoga di Roma, alla comunità ebraica di Buenos Aires, ad Istanbul, a Mumbai, a Tolosa - anche in altre località.

Quindi se non è assolutamente lecito identificare l'ebraismo con il sionismo, è discutibile che il sionismo sia considerato, come fa lui, un corollario del tutto estraneo - se non una vera e propria manipolazione - al concetto di "ebraismo", che verrebbe così definito solo per caratteri che rischiano di diventare astratti rispetto alla vita concreta di quegli esseri umani che si riconoscono nella cultura tradizionale o nella religione ebraica.

Quegli esseri umani - per le vicende storiche che conosciamo - si sono convinti in gran parte della necessità di darsi un'istituzione statuale e questo non può in alcun modo essere considerato estraneo alla loro storia semplicemente perché non è mai esistito prima (se non duemila anni fa) e la loro tradizione era altra. È esattamente la stessa cosa che si potrebbe dire delle istanze nazionaliste dei palestinesi che, anche se non è mai esistito prima un loro stato, non per questo hanno meno ragione a pretenderne uno.

Insomma, Moni Ovadia, da quello che si legge, sembra più propenso a criticare l'esistenza stessa di Israele più che le pratiche politiche adottate dai singoli governi di quel paese.

Naturalmente non tutti gli ebrei italiani sono sostenitori acritici del governo Netanyahu e, soprattutto, dei suoi alleati di estrema destra. Ci sono bei nomi dell’ebraismo italiano che sono anzi fortemente critici e che tengono rigorosamente fermo il punto sul progetto dei “due stati per due popoli”, in altri tempi fortemente criticato dall’estrema sinistra in nome dell’internazionalismo proletario e comunista. Ma che oggi, per ironia della sorte, sembra essere messo in pericolo da tendenze diametralmente opposte.

Tutto il rispetto, quindi, per le critiche di Ovadia alle politiche israeliane ed gli ostacoli continuamente frapposti ad una soluzione pacifica del conflitto, ma magari senza dimenticarsi quello che lui stesso dice nell’intervista di oggi “gli ultrà palestinesi sono i peggiori nemici della loro causa”, omettendo però di aggiungere che quegli ultrà - che si chiamano Hamas - godono di ampio credito presso la popolazione e sono i vincitori di fatto delle ultime elezioni politiche sia nei Territori che a Gaza.

La comunità ebraica milanese ovviamente alle accuse di Ovadia non ci sta e il suo portavoce (di sinistra) Daniele Nahum ribatte con stizza : “L’intervista rilasciata da Moni Ovadia è piena di falsità. La decisione di escluderlo dal festival Jewish and the City è di carattere esclusivamente artistico e non politico, come dimostra la partecipazione di tanti relatori e artisti, come per esempio Amos Gitai, che hanno espresso durissime critiche nei confronti di Israele nel presente e nel passato”.

Se ad ebrei critici delle politiche israeliane, come Gitai ma anche altri - fra gli intervenuti anche Susanna Camusso, Erri De Luca, Derek Halter (uno dei negoziatori sotterranei degli accordi di Oslo) - è consentito parlare ed esibirsi nelle manifestazioni della comunità ebraica, il gran rifiuto ovadiano perde dunque i luminosi contorni del sacro sdegno politico per assumere quelli vagamente micragnosi della starlette accantonata.

In fondo non è né Lou Reed, né Bob Dylan o Leonard Cohen, né Amy Winehouse o Noah né tantomeno Mark Knopfler, tanto per rimanere in ambito ebraico. Forse è meglio se si rassegna.

Ma lui non ci sta (a ritenersi escluso per motivi artistici) e alla fine si lamenta di ricevere solo pesanti offese e mai critiche nel merito delle sue affermazioni. E su questo probabilmente ha ragione. Un qualche rampantismo arrogante - lascito forse dei gloriosi anni del berlusconismo, più che dell'israelismo - ha preso piede nel mondo ebraico italiano, ma per quello che ne so è tuttora una minoranza; scalpitante e antipatica, ma pur sempre una minoranza.

Le migliaia di altri ebrei - quelli che da sempre si sciroppano le battutacce popolari infarcite di antisemitismo così diffuse a destra come a sinistra, non subiscono più sempre zitti come da antica prassi, ma non vanno certo a cercare la rissa per difendere Bibi Netanyahu ad ogni costo.

In ogni caso né la maggioranza né la minoranza sentono probabilmente la stringente necessità di confrontarsi con Moni Ovadia ed hanno tutti i diritti di fare a meno delle sue performance teatrali e musicali senza per questo essere accusate di boicottaggio politico.

Anche perché ci sono cose più importanti di lui e della sua stucchevole interpretazione dell'ebreo "alternativo" con quella sua narcisistica kippà che fa tanto hippie...

 

 


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