Mondo: ricette diverse per fronteggiare la crisi

par Paolo Praolini
martedì 27 gennaio 2009

Come già scrissi il 17 Novembre 2008 la crisi economica ha iniziato da settimane a sferrare i suoi morsi terribili.

Prima gli Stati Uniti, poi l’Europa e l’occidente , ed ora anche la Cina e tutto l’estremo oriente si stanno piegando alla forza di questo mostro indefinibile e quanto mai imprevisto.

Nessuno in tutto l’occidente più industrializzato nei mesi scorsi riuscì a prevedere quanto stesse per accadere.

Sono bastati 3 mesi Ottobre, Novembre, Dicembre del 2008 a far crollare i pilastri del mondo economico globalizzato, travolgendo tutto e tutti nessuno escluso.

Nel mondo economico ed industriale molte grandi società che chiusero il terzo trimestre del 2008 con tutti gli indicatori economici e finanziari con ottimi risultati oggi si trovano già nel mezzo della palude, in quanto tutti i mercati sono in stagnazione.

Crollata la produzione industriale in Italia a Novembre del 12,3% rispetto a Novembre 2007, mentre il calo su base annua è stato del 9,7% generata dall’improvvisa frenata dei consumi, realizzando così il peggior risultato dal 1991.

Il settore automobilistico in Italia in particolare ha subito un crollo a Novembre del 42,8% delle vendite, questo nel mese di Dicembre ha generato per colossi come Fiat l’avvio della cassa integrazione per lunghi periodi dal 12 Dicembre 2008 fino al 12 Gennaio 2009, pur registrando Fiat un utile netto nel 2008 di 1,721 miliardi di €.

Anche negli Usa colossi come Ford e General motors hanno perso vendite in un anno rispettivamente del 20,7% e del 22,9%, e così è accaduto anche nel resto del mondo, dove questa flessione a 2 cifre rimarrà uno storico riferimento.

Altri settori attanagliati dalla crisi in Italia sono il tessile, il calzaturiero, la produzione di mobili, l’edilizia e tantissimi altri.

Grandi, medie, piccole aziende e società sono sull’orlo della chiusura, molte hanno già chiuso, tantissime hanno fatto richiesta ed avviato la ‘cassa integrazione’.

Come denunciato dai rappresentati del sindacato dei lavoratori e già da alcune regioni, i costi della cassa integrazione cominciano ad arrivare a livelli insostenibili.

Il ricorso alla cassa integrazione nel 2008 è stato per ben 223 milioni di ore (tra ordinaria e straordinaria), con un incremento della cassa integrazione ordinaria rispetto al 2007 del 60,4%.

Anche il settore bancario non si è sottratto al cataclisma strutturale del sistema economico e finanziario, anzi direi che questo settore, essendo stato la miccia di questa deflagrazione globale, ha riportato i danni peggiori.

Anche qui si sono avuti i primi fallimenti nel mondo globale della finanza come quelli di Lehman negli Usa, poi anche banche olandesi, inglesi, francesi colossi bancari sono stati smembrati e ridimensionati dalla crisi di liquidità generata dai ‘prodotti tossici’ inglobati negli ultimi anni.

Colossi come Royal Bank of Scotland (RBS) nei giorni scorsi sono arrivati a perdere il 70% del loro valore azionario, e solo interventi governativi ne stanno determinando il salvataggio.

Ma a questo punto è andato in subbuglio tutto l’establishment governativo delle nazioni dell’occidente più industrializzato, il quale si è risvegliato da un torpore nel quale si adagiava da molti anni.

Sono trascorsi decenni dal dopoguerra dove lo sviluppo economico dell’occidente, trainato dalla locomotiva statunitense, ha avuto una crescita continuativa ad eccezione di qualche piccola crisi che ha rallentato questo andamento, come la crisi petrolifera degli anni ’73 / ’74 con ‘l’austerity’, la crisi del ’93, fino ad arrivare ai giorni nostri.

A questo punto la crisi che sta paralizzando le principali economie mondiali, ha assunto un carattere incisivo profondo, rivelando che non sarà una crisi breve neppure localizzata solo a qualche settore economico.



Non è paragonabile alle cicliche crisi economiche, che nel passato furono risolte con piccoli e delimitati interventi di rilancio.

In questa fase tutti i governi delle principali economie hanno focalizzato che la crisi sarà epocale, di quelle che rimarranno nella memoria storica, forse come quella del ’29.

Tutti quanti valutando caso per caso le proprie difficoltà interne (banche , industrie, occupazione etc.), le risorse disponibili, stato delle proprie casse, hanno varato o stanno ultimando manovre di stimolo e protezione di diversa portata verso le proprie economie.

I primi sono stati gli Stati Uniti che con il vecchio governo Bush e la proposta Paulson in più fasi hanno varato una manovra che concedeva una liquidità alla crisi (banche, industria dell’auto etc.) di circa 700 miliardi di dollari, non c’era un attimo da attendere ancora, il paese era già con l’acqua alla gola, non sufficiente hanno rilanciato con una nuova manovra aggiuntiva da 300 miliardi.

In Europa purtroppo non essendoci coesione nelle politiche economiche, la paura ha generato comportamenti opposti, isterici o troppo cautelativi.

Il governo di Angela Merkel che guida la principale economia europea è stato rapido ed ha messo in piedi un piano di rilancio dell’economia per ben 50 miliardi di euro equivalente al 2% del PIL tedesco, e con un rapporto debito/Pil verso il 61,6% .

E’ la prima manovra di questa entità nella storia della Germania da quando è una repubblica federale, la gravità della situazione dal punto di vista dei tedeschi non permette tentennamenti e ripensamenti.

Anche la Gran Bretagna sull’orlo anch’essa di una profonda crisi, forse la peggiore degli stati europei, non si è fatta attendere soprattutto dopo la caduta con effetto domino delle sue principali banche, che inaspettatamente dai primi giorni di Gennaio hanno scoperto le loro carte in profondo rosso.

Nel suo discorso di presentazione della manovra economica Gordon Brown, ha usato parole pesanti a dimostrazione che non si poteva attendere altro tempo e che l’intervento doveva essere efficace e di vasta portata.

Un intervento rapido della portata di 250 miliardi di sterline, principalmente per la nazionalizzazione dei gruppi bancari in difficoltà, con lo scopo di acquistare i prodotti finanziari tossici, dare liquidità per il mantenimento della distribuzione del credito ed evitare il blocco dei finanziamenti verso industrie e privati, il tutto con un rapporto debito/Pil al 47% .

L’Italia anch’essa è corsa ai ripari, se pur illesa dai cedimenti bancari grazie al suo sistema ‘protezionistico’, ha potuto programmare una manovrina da 5 miliardi di € per le infrastrutture, il sostegno all’economia del paese ed in particolare per le famiglie in difficoltà.

Manovra che si è pagata da sola con l’abbassamento del costo del denaro al 2%, che permetterà un recupero di 6 miliardi di euro di interessi pagati in meno sul debito pubblico esistente nel nostro paese.

Il nostro premier però diversamente dalla preoccupazione degli altri leader europei ha espresso ‘tranquillità’, non dobbiamo preoccuparci se l’economia ed il paese tornerà come viveva 2 anni fa’, “basta aspettare, essere ottimisti e presto tutto tornerà come prima”.

Insomma campiamo alla giornata, poi magari quando passerà la locomotiva a stelle e striscie cercheremo l’aggancio.

Dall’altra parte il pensieroso ministro Tremonti, tenuto sotto stretto controllo della commissione europea, confinato tra un debito pubblico che non concede spazi di manovra (attualmente con un rapporto debito/Pil al 109%) e risorse ormai agli sgoccioli, ha ridotto gli interventi di aiuto all’indispensabile, attirando i commenti positivi di Barroso.

Ora però una nuova tegola gli e’ arrivata in testa, Berlusconi ha incaricato Tremonti di trovare denari per il sostegno all’industria automobilistica, tutto da inventare, sia nel determinare l’entità dell’intervento, ma soprattutto il problema sarà dove andare a trovare i fondi, quando ci troviamo ormai nel fondo di un barile ormai svuotato.

Anche in questo drammatico scenario economico la miope Europa agisce con interventi differenti e misure di diversificata portata, confermando una lontananza da una coesione anche nelle politiche economiche dell’unione e l’assenza di un coordinamento che dia risposte strutturate in egual misura per tutti i paesi dell’Unione.

Ogni nazione ha differenziato i propri interventi che determineranno la ripresa o meno da una crisi così profonda.

Nello stesso tempo il consumo di così imponenti risorse determinerà ed ipotecherà la vita futura delle prossime generazioni di cittadini europei e delle prime dieci economie del mondo, che si troveranno il fardello di un debito generato inaspettatamente e senza programmazione nell’anno 2009.


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