Minatori: morire per un sì o per un no

par Antonella Policastrese
giovedì 30 agosto 2012

Scorrono le immagini. Uomini che protestano nel ventre della terra per far giungere il loro grido di dolore dalla profondità in superficie. C'è tormento, mancanza di prospettive e un minatore durante la conferenza stampa si ferisce il braccio con un coltello.

I minatori sardi non ci stanno ad accettare un destino deciso da altri, che sia la crisi, o la situazione contingente. C'è il rifiuto di perdere la dignità di uomini e il loro modo di comunicare a tutti il disagio del vivere lo possono dimostrare solo così. Pur tuttavia nessuno sembra ascoltarli. In superficie tutto scorre come sempre. Giornali e tv avvezzi a parlare di mercati, spread, borse, incontri tra Monti e la Merkel, che così diventano cattivi conduttori di notizie poiché ormai sembra questa la normalità.

Sembra di essere ritornati agli inizi dell'800 quando la gente scendeva nelle miniere e lavorava per un pezzo di pane nero come i bambini che restavano lì sotto 12-14 ore al giorno. Come è possibile che nell'opulento Occidente ogni giorno che passa decine di lavoratori perdano il posto di lavoro abbandonati a se stessi, senza garanzie senza futuro, simili a cani randagi, brutti, sporchi e cattivi.

Ora più che mai ritornano d'attualità le parole di Primo Levi:

"Voi che vivete sicuri 
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Morire per un si o per un no...
A questo siamo arrivati."
 

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