Milano: al Castello Sforzesco, nel pomeriggio delle sciarpe bianche
par Eleonora Poli
lunedì 14 febbraio 2011
Sessantamila persone, forse anche di più: i numeri contano fino a un certo punto, in ogni caso la piazza a Milano è piena. Di donne - e uomini - che urlano “se non ora, quando?” Ecco la manifestazione vista da sotto il palco, tra interventi, ospiti, slogan e striscioni, immaginando un cambiamento possibile. E vicino?
Non pioveva da più di un mese a Milano, peccato abbia ricominciato proprio ieri: non fa molta differenza, perché all’ora stabilita la zona del Castello si riempie, e in fretta; anche se in un primo momento le migliaia di sciarpe bianche si confondono tra gli ombrelli colorati. Fortunatamente l’acquazzone dura poco e quando inizia la manifestazione, poco dopo le 14.30, cadono solo gocce sottili. Una manifestazione antipremier? E’ riduttivo, leggere in questi termini il senso della giornata. In oltre 200 città, piccole e grandi, tanta gente si è riunita per esprimere indignazione verso chi “di giorno fa il family day, ma la notte no”, certo; ma anche verso tutto un mondo di privilegi individuali, mercificazione, diritti ignorati o comunque non uguali per tutti.
Da Arcore a Palermo, un pacifico appuntamento condiviso fa puntare i riflettori sull’Italia diversa, sulle migliaia di donne che non ci stanno, non si considerano a disposizione di chi offre di più. Un maschilismo così devastante, quello emerso negli ultimi eventi, da fare nascere l’esigenza di un nuovo femminismo.
Davanti al Castello Sforzesco, intorno alla fontana, la folla si distribuisce su due lati e nel momento di maggiore affluenza scivola per tutta via Dante. Si distendono striscioni sulle transenne, altri vengono sollevati contro il cielo grigio: “Berlusconi game over”; “sono nipote di Obama, telefona all’ambasciata americana”; “Veronica è libera, ora tocca a noi”. E ancora, “giù le mani dalle donne”, “non siamo tutte sgallettate”; o, più serio, “la dignità delle donne è la dignità di una nazione”. Non è, come sostiene qualcuno, soltanto un’iniziativa radical chic, lo sfogo di un gruppo di esaltati, l’ennesimo exploit di protestatori di professione, o una folkloristica kermesse. Per rendersi conto che in questo pomeriggio si concretizzano un disagio e una volontà di cambiamento più profondi basta guardare da vicino le tante facce di età diverse, ascoltare le motivazioni che ha ciascuno per essere lì. Non è una massa informe, quella che rimane in piedi tre ore ad ascoltare gli interventi, non è un gruppo elitario alla ricerca di visibilità mediatica. C’è rabbia. Stupore. Voglia di reagire.
Questa volta i politici stanno a guardare. Fa una toccata e fuga Antonio Di Pietro, mentre sotto il palco si aggirano Scalfarotto, Corritore, pochi altri. Ma è l’arrivo di Nichi Vendola a suscitare un’ovazione. Assalito dai microfoni dei giornalisti, trova come sempre il modo di parlare della situazione attuale allargando l’orizzonte, disegnandone un quadro culturale. Quello che sta accadendo, che giustamente scandalizza al di là di qualunque moralismo, sostiene, è il risultato di una lunga deriva, le ragazze che oggi si lasciano comprare per poche migliaia di euro o una carriera assicurata sono il prodotto di un regime televisivo fatto di telenovele, fiction e reality show, un mondo che ha perso il senso delle cose e delle parole. “C’è però anche un’Italia migliore che non è quella di Berlusconi e Lele Mora, è per questa che lavorariamo”.