Mi pais. Un altro regime è possibile.

par entropiaentropica
venerdì 24 ottobre 2008

Ponte sullo stretto, Tav, crisi Usa, riforma della giustizia, nucleare, governo.

Parla di tutto Berlusconi, spaziando da un argomento all’altro. Il premier è carico, (..) forte del continuo aumento di fiducia nei confronti dell’esecutivo, un consenso che lui stesso definisce «quasiimbarazzante>>.Qualche giorno fa, alludendo ad una strategia di radicale trasformazione del paese, Berlusconi rispondeva così alle domande dei giornalisti.

A questo punto verrebbe da chiedersi se Licio Gelli non sia il più grande veggente della storia del nostro paese.

Le sue “predizioni” contenute nel “piano di rinascita democratica” lo collocherebbero poco dietro i pastorelli di Fatima a cui si mostrò la Madonna per fare delle confidenze sul destino tragico del pianeta.

In fin dei conti si diventa solo ciò che si è.

Tuttavia la formazione del regime non sarebbe comprensibile senza considerarlo come l’atto finale di un costante processo di cessione di territorio partecipativo democratico. Senza segnalare l’arretramento e la trasformazione culturale subiti dalla sinistra nel paese negli ultimi anni. Senza consideralo, in definitiva, come il modello di una prassi politica e di un’ideologia assecondata e imitata da chi invece avrebbe dovuto combatterla.

La trasformazione autoritaria delle istituzioni è figlia: tanto del revisionismo di destra che ha reinterpretato e neutralizzato senso e significato della cultura democratica sorta dalla resistenza; sia della rimozione dell’appostamento critico nei confronti della realtà maturato negli anni della contestazione del 68; che del revisionismo di sinistra il quale in virtù di una insostenibile idea di un capitalismo dal volto umano, si è votato alla mistica del mercato finendo, in nome di una svolta risultata incomprensibile alla propria base elettorale per consegnare paese ed istituzioni nelle mani di Berlusconi. Il vuoto pneumatico che segna l’egemonia culturale dei vincitori materializza la forma più insignificante ma anche la più subdola capacità di eversione con cui il populismo mediatico si innalza al ruolo d’ideologia statutaria del regime corredata ora, dopo la riforma Gelmini, da tanto di principi educativi e vademecum disciplinare-formativo.

E’ il risultato più raffinato che discende dall’ indiscriminato e costante uso dell’informazione come arma di seduzione e formazione di consenso (di pasoliniana memoria) che la simbologia dell’imprenditore che opera al di là del bene e del male, ha conseguito in ogni dove del paese.

Qualche anno fa, proprio quando si allargava la forbice della rappresentanza fra mondo della politica e paese reale e si lanciava il progetto di fare piazza pulita dell’antagonismo culminato con la repressione avvenuta in occasione del G8 di Genova, qualcuno si è sforzato di spiegarci come in Italia non si potesse parlare di regime ma tant’è.

Come il più semplice dei calcoli aritmetici, si faceva strada ineluttabile, un senso della “cittadinanza” basato sulla decostruzione puntuale delle relazioni democratiche a cui faceva eco un epidemico sentimento di sfiducia nutrito dalla gente nei confronti delle istituzioni.

Così si è creato un vuoto. Un vuoto di cui l’indulto ha rappresentato lo psicodramma mimato di fronte al paese da una classe politica alla ricerca della sospensione dello stato di diritto per sé e per quel sottobosco di procacciatori di consenso che capillarmente invadono il paese stravolgendo senso e significato della legalità.

In questo senso il lodo Alfano conclude il medesimo processo facendo dell’immunità conseguita dal cavaliere  il frutto velenoso contenuto nel progetto di trasformazione delle regole che presiedono alla formazione della rappresentanza democratica parlamentare.

Il cosiddetto porcellum, la creazione del duopolio PDL-PD, l’eliminazione delle preferenze nelle modalità d’espressione del voto, l’innalzamento dello sbarramento al 5 e all’ 8% rispettivamente alla camera e al senato, le liste bloccate dalle segreterie di partito, l’appello bipartisan al “voto utile” non sarebbero stati possibili se tutto ciò non fosse stato preventivamente concordato e caparbiamente ricercato.

E oggi che assistiamo alla sconfitta “epocale” d’ogni cultura democratica maturata nella luminosità di anni di battaglie civili e politiche combattute in nome e per conto dell’allargamento della costituzione materiale del paese, ci chiediamo : è questo il senso finale del tanto vagheggiato riformismo e della tanto ricercata normalizzazione del paese ?

E dopo la riforma della giustizia, in queste condizioni d’emergenza democratica,  conosceremo l’inedito volto di un Berlusconi che si ergerà a paladino della questione morale ? Qualcuno imbrigliato nella ragnatela della “riforma delle istituzioni” ordita da Berlusconi ed avvocati, rimarrà con un piede nella tagliola vittima di accordi non rispettati? L’opposizione ha perso e continuerà a perdere quando agli occhi della sua gente finisce per assomigliare troppo al nemico perpetuando quel senso di solitudine, di scoramento che oramai da anni campeggia fra tutti quei cittadini, lavoratori, studenti, precari, disoccupati, immigrati, donne e uomini, insomma fra tutti quei soggetti ed individui che nel corso di questi anni, proprio lì nel basso della società,  hanno subito e subiscono un devastante processo di capillare annichilimento dei propri diritti e delle proprie condizioni materiali di vita. Il paese reale assomiglia ora e ogni giorno di più, alla vittima sacrificale offerta all’efficiente macchina di distruzione dei capisaldi del diritto costituzionale dietro cui si nascondono alchimie di alleanze forti che spianano la strada alla paurosa regressione civile, culturale, sociale ed economica della nazione.

 

 


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