Mercato del lavoro a dicembre: molto rumore (statistico) per nulla

par Phastidio
mercoledì 3 febbraio 2016

I dati Istat sul mercato italiano del lavoro a dicembre ne confermano l’andamento tiepido, come del resto tiepida è la ripresa italiana. Più che altro, non pare esservi stato lo sprint finale ad assumere a tutele crescenti per sfruttare la decontribuzione piena. Altri dati restano preoccupanti e confermano la fragilità del quadro di ripresa.

A dicembre, il numero di occupati flette dello 0,1% (-21 mila persone). Interessante osservare che il calo è determinato dalla riduzione dei lavoratori indipendenti (-54 mila) mentre crescono i dipendenti, in particolare quelli permanenti (+31 mila). Il tasso di occupazione, pari al 56,4%, rimane invariato rispetto al mese precedente. Su base annua, il totale degli occupati dipendenti aumenta di 247mila unità, frutto di un aumento del tempo indeterminato per 135mila persone e di occupati a tempo determinato per 113mila persone. In percentuale, su base annua abbiamo un aumento dello 0,9% dei dipendenti permanenti e di ben il 4,9% per quelli a tempo determinato. In altri termini, i generosi sussidi per l’assunzione a tempo indeterminato con contratto a tutele crescenti hanno prodotto 135mila assunzioni in un anno. Anzi no, visto che buona parte delle medesime sarebbe comunque avvenuta. Quando c’è l’efficienza, c’è tutto.

In un anno, si sono persi 138mila impieghi autonomi. Visto che il numero assomiglia a quello dei posti a tempo determinato, e visti gli studi classici e l’amore per la correlazione spuria dei nostri politici e media, è possibile e probabile che qualcuno vi dirà che abbiamo trasformato precari a partita Iva in lavoratori “col posto fisso”. Osservando le tendenze più vicine nel tempo, cioè l’ultimo trimestre, abbiamo una perdita netta di occupati per 26mila unità rispetto al trimestre luglio-settembre, frutto di una perdita di impieghi a termine e autonomi, e di una creazione a passo relativamente robusto di creazione di impieghi a tempo indeterminato.

A livello di coorti anagrafiche non c’è molto da festeggiare, però: le due fasce più importanti di età, la 25-34 anni e la 35-49 anni, nell’ultimo anno hanno perso occupati. La prima ne ha persi 40mila, la seconda 81mila. Se qualcuno pensa che un paese si trovi in una tendenza virtuosa perdendo occupati nelle due coorti anagrafiche più importanti, farebbe bene a farsi vedere da uno molto bravo.

Ma siamo certi che resterete colpiti dal crollo del numero di disoccupati nella fascia 35-49 anni, non compensato da corrispondente aumento di inattivi. Dove saranno finiti, questi lavoratori? Mistero. Siamo sicuri che non serva una revisione delle modalità di intervista al campione? O forse la risposta sta nelle percentuali e non nei valori assoluti, ovvero nei tasso di occupazione ed inattività. Da quelli si osservano incrementi del tasso di inattività in entrambe le coorti anagrafiche centrali.

Quello che conta ribadire è che la ripresa di occupazione “traccia” quella del Pil, approssimativamente. Abbiamo scoperto l’acqua calda ma in questo paese, in questo momento storico, pare sia una scoperta eclatante.

 
 

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