Master e Colf nel redditometro: l’istruzione diventa parametro per rilevare l’evasione fiscale

par Nicola Spinella
sabato 4 febbraio 2012

Non accenna a diminuire la follia che pervade l'allegra brigata Monti. Nel redditometro, da molti considerato un fiore all'occhiello nella lotta all'evasione, entrano servizi essenziali come l'asilo nido e i master post laurea. Nella speranza che un popolo di ignoranti sia più facile da governare.

Immaginate per un attimo un genitore che lavora dalle otto alle dieci ore al giorno: mantiene dignitosamente una famiglia, senza fronzoli e sfarzi, riesce a sopravvivere ai salassi delle assicurazioni, al caro vita. Riesce con sacrifici anche a far studiare i figli, mandandoli all'università, anche se questo dovesse significare che la madre dovrà fare un po' di lavoro "in nero", perché si sa, la "messa in regola" è spesso una chimera.

Poniamo il caso che poi, i galantuomini dell'agenzia delle entrate, decidano di spulciare gli elenchi degli iscritti ad un master e dispongano l'accertamento su una famiglia, ufficialmente monoreddito, che riesce (al costo di estenuanti sacrifici) a sostenere le spese di studio per il figlio. Qualcosa non quadra: i parametri dell'Agenzia non contemplano la possibilità che il genitore vada in giro con un paio di scarpe risuolate dal calzolaio (rigorosamente senza scontrino, ok...) o acquistate in una bottega dalle lanterne rosse.

Nulla di tutto questo: l'accertamento potrebbe sfociare in una sanzione pecuniaria poiché è inconcepibile poter pagare un master di X euro, quando la paga mensile del genitore di cui sopra si aggira intorno a X euro - 80% (mi si concedano equazioni e cifre di fantasia).

Non viene contemplata alcuna possibilità ulteriore: non importa se la nonna regala metà della pensione al nipote per permetterne gli studi, né altre forme di sostentamento potranno essere tollerate. 

Sembrerebbe essere l'ultima scriteriata soluzione, adottata da chi solo nel 2012 si è reso conto che con i controlli capillari del territorio si poteva smascherare una buona fetta di evasione fiscale a livello imprenditoriale. Duole ammettere che questo stato di "polizia fiscale" promana da un governo illegittimo che vive sul filo del rasoio, ricattato da un ex premier che potrebbe staccare la spina all'esecutivo se si intavolassero discussioni lesive degli interessi delle reti tv controllate (leggasi "piano per l'assegnazione delle frequenze TV", una pillola avvelenata per Berlusconi e le sue tre reti Mediaset).

Anche le colf saranno considerate un lusso, con l'unico effetto che, miracolosamente, mauriziane e filippine continueranno ad espletare le proprie mansioni in nero, magari come seconda attività: al controllo, risponderanno di essere amiche della padrona di casa, invitate lì per un té. Oppure, il tentativo di mettere gli uni contro gli altri, potrebbe sfociare in una maxi lotteria del tipo "Denuncia il tuo datore di lavoro, ti regaliamo il permesso di soggiorno!". Roba da giungla sociale, sul modello delle denunce anonime all'agenzia delle entrate.

La lotta all'evasione può servire a risollevare le sorti di un paese lasciato per troppo tempo in balìa di un popolo di parassiti allergici a scontrini e fatture, ma deve essere attuata con criterio e presenza capillare sul territorio degli organi preposti al controllo. Lo stesso controllo che sarebbe servito dieci anni fa allorquando, con l'introduzione della nuova moneta, molti prezzi al consumo lievitarono senza freno, dando il via ai prodromi dell'odierno collasso dell'economia italiana.


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