Martina Levato e Achille: la magistratura ammette (implicitamente) l’inutilità del carcere

par Carcere Verità
mercoledì 19 agosto 2015

La “coppia dell’acido” ha avuto un bambino.

Lo possono tenere o bisogna toglierlo a loro ed alle loro famiglie?

Benché non ami le storie mediatiche, ad ogni servizio del TG su questa vicenda, rimango perplessa e la mia testa comincia a lavorare, anche se non voglio: nonostante la poca stima che posso provare per questi due, io sono certa che non sia giusto togliere un figlio ad una madre, con qualunque tipo di forza, anche con la legge.

Di questa vicenda, non mi interessa tanto stabilire se questi due ragazzi siano o meno in grado di fare i genitori, quanto piuttosto l’opinione che lo Stato ha di sé stesso.

Martina e Alexander sono stai condannati a rimanere in carcere per 14 anni, sotto la tutela dello Stato, che se li è presi in carico, come le altre decine di migliaia di detenuti, per tenerli li fermi, a contar giorni e studiare la maniera per uscire il prima possibile, come le altre decine di migliaia di detenuti.

Lo Stato e la magistratura, dicendo che questa coppia non è adatta ai compiti genitoriali, tra le righe, ha detto un’altra cosa: “Il carcere non serve a niente”.

Nella prospettiva dei prossimi 14 anni, i magistrati sanno benissimo che queste due persone non potranno mai uscire migliori di come sono entrate, ma al limite peggiori. Quindi se oggi, 19 Agosto 2015, Martina ed Alexander non sono in grado di essere genitori, lo saranno ancor meno il 19 Agosto del 2029, quando avranno terminato la loro pena (probabilmente prima di questa data).

E l’affermazione che il bambino subirà uno shock, nel crescere con dei genitori in carcere, dimostra la posizione di chi il carcere lo conosce solo come il luogo in cui, in nome della legge, manda gli altri.

Questa preoccupazione viene contraddetta dalla realtà dei fatti: quanti bambini mi è capitato di vedere ai colloqui, in questi anni? Subire le stesse torture degli adulti? Dalle attese, alle perquisizioni? Fino a dover vedere il proprio padre da dietro un muretto invalicabile? O poterlo sentire per pochi minuti alla settimana al telefono?

Cosa differenzia questo neonato, da tutti gli altri bambini che dividono la loro giovane vita, per anni, tra scuola, catechismo e carcere?

Ma la magistratura, ipotizzando la possibilità di dare in adozione il bambino, ha semplicemente detto: “Il carcere è disumano, illegale, una scuola cattiva, capace solo di esacerbare gli animi di chi ci finisce dentro. Da qui a 14 anni, non solo queste due persone saranno peggiori di oggi, ma ci sarà un’altra persona, il piccolo Achille, avvelenato dal carico d’odio a cui verrà esposto, nel periodo di detenzione dei suoi genitori”.

Tutto vero. Ma nessun giudice avrà mai il coraggio di scrivere queste parole in una sua sentenza.

Piuttosto che aprire un dibattito legittimo, sul metodo di esecuzione penale, inutile e dannoso, di questo Stato, la magistratura si limita ad ammetterne i limiti, non con le parole, ma con il frutto delle sue decisioni. Lasciando che le cose continuino ad essere sempre uguali.

Facendo pagare l’incompetenza istituzionale, al malcapitato di turno, che può solo attendere una carta bollata, con firma del magistrato, per scoprire cosa ne sarà del suo futuro.


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