Marea nera nel nord Sardegna: disastro di serie B?

par unblogindue
martedì 25 gennaio 2011

Martedì 11 gennaio 2011, Porto Torres, sera. Una nave petroliera, la Emerald, è ormeggiata nel terminal di Fiume Santo, polo chimico del nord Sardegna al confine con il Parco Naturale dellâAsinara. La petroliera sta immettendo olio combustibile, denominato Orimulsion, nelle condotte dâalimentazione di uno dei due gruppi ad olio ancora attivi nellâimpianto della società tedesca eOn, una fra le aziende energetiche più grandi al mondo con fatturati annuali superiori agli 80 miliardi di dollari. Quei due gruppi ad olio non dovrebbero più esistere già da alcuni anni, dovrebbero essere stati rimpiazzati da gruppi a carbone, ma invece sono ancora in funzione, legittimati da deleghe della Regione Sardegna, autorizzati ad operare nonostante la loro obsolescenza e pericolosità.

Eâ facile intuire le motivazioni che hanno spinto la Regione a non esercitare troppa pressione sullâeOn, quando si leggono cose del genere:

âPer quanto riguarda il vantaggio fiscale proveniente dallâintesa [fra azienda e Regione Sardegna] è utile ricordare, a titolo esemplificativo, che nel mese di giugno sono stati versati da parte di EON, a titolo di anticipo delle imposte IRAP e âRobin taxâ, 25,5 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi ai circa 50 milioni di euro versati nel novembre del 2009. A tale cifra deve essere sommato anche quanto versato da EON Italia Spa, la holding del gruppo, che nel mese di Luglio ha versato in Sardegna 13.2 milioni di euro.â

Gli impianti, quindi, lavorano a pieno regime, lâolio scorre nelle tubature, alcuni operai soprintendono allâoperazione. Tutto sembra andar bene, due chiacchere di sottofondo, dai, si tratta di un lavoro di routine. Ad un certo punto uno dei due operai solleva lo sguardo sullâacqua e vede una chiazza scura, già enorme, lâodore dellâolio nellâaria, i massi del pontile già anneriti dal materiale che fuoriesce da una falla nella condotta.

Quando risuona lâallarme è tardi, troppo tardi: il mare è stato violentato da 18.000 litri di catrame misto ad olio.

La notte scorre in silenzio, la portata del disastro si vedrà nei giorni seguenti: la marea nera ricopre 18 km di litorale, da Porto Torres a Punta Tramontana, vicino Castelsardo.

Lâarenile viene interdetto alla popolazione, nessuno può accedervi se non chi viene impiegato per le bonifiche, che potrà avvicinarsi alla spiaggia solo con protezioni integrali e maschere ai Carboni attivi.

Ufficialmente, sui cartelli apposti nelle discese al mare câè scritto che lâaccesso alla battigia viene impedito per evitare che il catrame, per effetto del calpestamento, venga ulteriormente mischiato alla sabbia, ma il motivo vero è solo uno: quel materiale che ricopre spiaggia e mare è altamente cancerogeno.

Il litorale dei comuni di Porto Torres, Sassari, Sorso e Castelsardo si popola di uomini vestiti da alieni, coperti da tute integrali bianche, il viso protetto da maschere antigas, gli occhi schermati da protezioni, nemmeno un centimetro di pelle esposta: con le pale sollevano la sabbia contaminata, nera, mischiata al petrolio e la gettano dentro sacchi neri condominiali, al ritmo di 2 pieni per ogni metro quadro di rena.

Lâinformazione va a rilento: solo giovedì, due giorni dopo lâaccaduto, il Tg3 regionale si degna di darne notizia, minimizzando la vicenda e sostenendo che âparlare di disastro ambientale è quantomeno fuori luogoâ.

Sulle testate nazionali neanche lâombra di un trafiletto, eppure il catrame ha inondato un paradiso terrestre che nei mesi estivi occupa a gran voce le cronache per il gran via vai di vip o presunti tali, per lo più morti di fama. La mente corre veloce alle altre sciagure ambientali di cui la stampa si è però molto occupata: lo sversamento di petrolio nel fiume Lambro, la marea nera nel Golfo del Messico, lâondata di fanghi tossici in Ungheria. disastri ecologici di cui siamo stati informati con gran dovizia di particolari.

Ovviamente questi episodi non sono paragonabili fra loro dal punto di vista quantitativo ma è comunque desolante constatare che i cormorani catramati di Porto Torres non abbiano il fascino esotico degli uccelli oceanici rivestiti di petrolio.

La mobilitazione della popolazione davanti a questâennesimo scempio ai danni dellâisola ha denunciato la pericolosità degli impianti presenti nella zona e ha sollecitato la loro riconversione o, in via definitiva, lo smantellamento a salvaguardia di una delle zone più amate e frequentate della Sardegna. Lâintegrità del patrimonio ambientale è una priorità per noi sardi che sappiamo bene che il turismo è una delle pochissime voci in attivo nel desolante bilancio produttivo della Regione.

Appare comprensibile, alla luce di questi ultimi fatti, che la produzione della chimica nellâisola sia da alcuni percepita alla stregua dellâoccupazione militare che è altrettanto presente in queste terre: impianti imposti dallâalto, dirigenti di multinazionali che non hanno mai messo piede nei luoghi dove sorgono le loro ciminiere, compagnie miliardarie che smobilitano i siti di produzione in pochi giorni, lasciando alla fame centinaia di uomini.

La Sardegna, al centro del Mediterraneo, subisce gli effetti più devastanti della globalizzazione, a livelli thailandesi o cinesi: lâuomo non è più un lavoratore ma un mero ingranaggio della fabbrica e al pari delle strutture o dei macchinari, quando non serve più ai disegni economici del padrone, viene buttato via senza alcun rispetto.

Duole ricordare che oggi, da oltre 330 giorni, decine di uomini sono ancora asserragliati sullâIsola dei Cassintegrati in protesta contro le aziende, Vinyls, ENI, Rockwool, Equipolymers, Legler, tutte legate alla chimica ma anche molte altre, che li hanno messi in mezzo ad una strada, negando loro dignità e speranza.

Quello che noi sardi chiediamo, e ci siamo stancati di dirlo sottovoce, è che queste multinazionali che occupano le nostre terre inizino a rispettarle e a rispettare noi e che, soprattutto, paghino a caro prezzo i loro errori.  Chiediamo e rivogliamo la nostra dignità, che passa anche dal diritto di vivere in un ambiente salubre, non in un territorio con i tassi di incidenza tumorale fra i più alti dâItalia (Fonte: Pubblicazione Registro Tumori Regione Sardegna).

La consapevolezza dellâassenza di rispetto nei nostri confronti da parte della eOn fa sollevare diversi interrogativi: se i sistemi di protezione previsti dalla legge erano realmente attivi come ha fatto lâolio misto a catrame a disperdersi nel Golfo dellâAsinara?

Se lâallarme è stato dato tempestivamente e non con enorme ritardo come appare, perché non è stata disposta la chiusura del bacino per contenere il combustibile dentro le acque portali?

Eâ possibile che allâinterno di un Parco Nazionale con un Santuario dei Cetacei non ci siano sufficienti sistemi di rilevamento, di allarme e di contenimento?

Inutile chiedere tutela ai politici regionali: nessuno infatti, né di maggioranza né di opposizione si è preoccupato di allertare il Ministro dellâAmbiente Prestigiacomo, che è stata messa a conoscenza dei fatti dagli attivisti di Legambiente. Solo dopo molti giorni, il 20 gennaio, la presidentessa della Provincia di Sassari, Alessandra Giudici, ha chiesto che venga dichiarato lo stato di calamità naturale e solo il prossimo mercoledì 26, a quindici lunghissimi giorni dallâincidente, la Prestigiacomo riferirà in parlamento.

Lâunica mossa del Governatore regionale Cappellacci è stata quella di indire, il 18 gennaio, un vertice con lâAssessore regionale allâambiente Oppi e il direttore generale di eOn Venerucci, a cui non è stato però invitato nessun rappresentante dei comuni coinvolti.

Quattro giorni dopo lâincidente i responsabili di eOn hanno comunicato che sarebbero bastati meno di dieci giorni per far sparire ogni traccia di olio da acque e spiagge, ma non avevano considerato le mareggiate e le correnti che hanno spinto migliaia di metri cubi di catrame allâinterno di un altro parco naturale, quello de La Maddalena, allâaltro capo dellâisola, contaminando la splendida Valle della Luna, arrivando a lambire perfino le coste sud della Corsica.

Comâera prevedibile, poi, il catrame è arrivato a Stintino, e la paura che vada a violare lâAsinara si fa sempre più concreta.

A tutta questa indignazione se nâè aggiunta ancora altra, ieri mattina, quando abbiamo visto con quale stupidità siano state condotte le operazioni di bonifica:

Le migliaia di sacchi neri che costellavano le spiagge non sono infatti stati rimossi ma sono stati lasciati sullâarenile, a pochi metri dallâacqua, ed è bastata una mareggiata a trascinarli in mare, aprendoli e ributtando il loro contenuto tossico dove era stato faticosamente e onerosamente prelevato.

La speranza è che questo disastro serva a far alzare la testa a noi sardi, che ci faccia ribellare a chi viene, sfrutta la nostra terra, le nostre braccia, e ci butta via appena trova una terra più disperata da impoverire ancora di più; che ci faccia smettere di implorare un posto di lavoro âcosti quel che costiâ, soprattutto se il costo si traduce in inquinamento, leucemie, tumori, morte sul lavoro, spregio delle regole, insulto alla dignità.

Eâ la speranza che questo ci porti a capire che la Sardegna non può vivere di rendita sulle bellezze che la natura ci ha concesso senza però far nulla per proteggerle e preservarle, aspettando sempre che siano gli altri a giungere in nostro soccorso; lâabbiamo visto con lampante evidenza, a livello nazionale noi non esistiamo, perciò dobbiamo rimboccarci le maniche e far da soli, con il doppio dello sforzo, sì, ma anche con il doppio dellâorgoglio.

Fonti foto: 1: La Nuova Sardegna; 2,3,10: unblogindue.it; 4,5,6,7,8: Stefania Taras; 9: Ufficio Stampa del Comune di Stintino


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