Marcio su Roma!

par Giovanni Maria Sini
sabato 11 settembre 2010

Il proconsole romano Umberto Bossi ha, da sempre, prediletto il linguaggio del âtribuno della plebeâ.

A dire il vero si è sempre dimostrato affine ed assimilabile al “sistema”: è d’obbligo qui ricordare la condanna per finanziamento illecito (200 milioni di lire) ricevuto dalla Lega per la campagna elettorale del 1992 - ladrona dunque sin dagli esordi (?) - da parte di Marcello Portesi ad Alessandro Patelli nel bar Doney a Roma. Per la serie: la sera andavamo in via Veneto.
 

Altre condanne per “reati d’opinione”: istigazione a delinquere e vilipendio alla bandiera italiana. L’indipendentismo sardo è stato perseguito e condannato per molto meno.

 
Nonostante il suo essere perfettamente organico, il proconsole romano continua a presentarsi nei panni dell’eterno rivoluzionario, mai domo, seppur domestico.

 
Le sue dichiarazioni, definite sempre come frutto del folklore (sapere del popolo?), sono un continuo fiorire di minacce, rivoluzioni popolari imminenti, orde di proseliti pronti a riscattare l’entità padana dalla satrapia di “Roma ladrona”.
 

Ecco una piccola rassegna, nella quale, più che altro, si danno i numeri: pallottole che costano solo 300 lire; Lombardia come arsenale in cui trovi dai cannoni agli aeroplani; armi anticarro per buttar giù i ripetitori RAI (alla modica cifra di 100 mila lire); possibile insurrezione popolare dei 300 mila bergamaschi pronti ad imbracciare fucili o mitra; 15 milioni di uomini disposti a battersi per la loro libertà; diventati poi, nella sua visione epica della “Padania”, 20 milioni; ridimensionati recentemente a 10 milioni uniti al grido: “Marcio su Roma!”, nell’eventualità di un governo cosiddetto tecnico.

 
Con tutti questi numeri, senza necessità di minacce o moti popolari, percorrendo una normalissima e agevole via democratica, avrebbe potuto concretizzare il sogno in realtà.

 
Ma la recente svolta dimostra, dopo aver manifestato l’intenzione di sfiduciare il governo per riscuotere il bottino elettorale, che il socio (occulto?) di maggioranza Silvio Berlusconi ha ricondotto il suo proconsole, quasi esercitando diritto di prelazione, a più miti consigli.

 
Si va avanti, quasi sotto tutela.

 
Le istanze del Nord sono, perciò, diventate distanze dal Nord: è, insomma, il federalismo dei proconsoli romani.

 
Il “teatrino della politica”, che piace ai due uomini di serie B, contempla ora un allargamento della maggioranza, rivolto ad un “gruppo di responsabilità”. Noncuranti della piccola contraddizione secondo cui è ammesso estendere l’area di governo a chi non ne faceva parte, un po’ meno restringerla.

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