Marchionne, le promesse e la Fabbrica Italia

par Lionello Ruggieri
martedì 18 settembre 2012

Marchionne ha il dovere di mantenere gli impegni presi con "Fabbrica Italia". In caso contrario, lo Stato ha diritto di agire contro la Fiat e contro di lui personalmente, per ottenere l’esecuzione coattiva e i danni.

Ancora una volta la Fiat ha perso vendite e quote di mercato, ancora una volta Marchionne ha annunciato che non farà gli investimenti promessi a sindacati e governo per avere l’appoggio alla sua politica sostanzialmente e concretamente tesa a ridurre le conquiste sindacali dei dipendenti dell’industria in generale e della Fiat in particolare.

L’annuncio ha, finalmente, provocato reazioni del mondo imprenditoriale e sindacale, ha finalmente fatto parlare Della Valle e Romiti e in modo tale da far passare quasi sotto silenzio la reazione della Camusso. Lei è apparsa quasi moderata. I giudizi di Della Valle e di Romiti sono stati molto più duri e decisi e sono da prendere sul serio dato che vengono da due imprenditori e che di questi almeno uno (Romiti) noto per non essere morbido con i sindacati.

La vicenda fa tornare alla mente un giudizio dato sul programma di Forza Italia alla sua nascita: un salto indietro di cento anni, un perdere tutte le vittorie sindacali ottenute, un dimenticare la tragedie del nazismo e del fascismo.

Quel giudizio, poco noto perché dato in un momento inadatto, è importante poiché fu espresso da Pino Rauti, un uomo certo non di sinistra. Così come questo su Marchionne è importante perché viene dal mondo dei datori di lavoro e degli imprenditori, grandi imprenditori. Ma questo è il meno, perché quello che importa di più è il rimedio di Marchionne, dall’uomo considerato il salvatore della Fiat e che oggi la guida con un mercato ed una produzione ridotti a metà. Non voglio e non posso (non ne ho le qualifiche) giudicare Marchionne e poi la disastrata Fiat di oggi sta meglio (pare) di quella che Gianni Agnelli cercò di vendere negli Usa e che convinse l’acquirente, pur di ritirarsi, a versare una penale di 800 milioni di euro, ma due considerazioni al riguardo le posso fare.
 
La prima riguarda la decisione di non investire i 20 miliardi di euro promessi due anni fa con l’obiettivo di raddoppiare la produzione- La decisione, dice Marchionne, deriva dalla situazione di crisi del mercato, e sostiene che è inutile produrre se poi non si vende. Ed è vero. Ma due anni fa la crisi era già in atto. Solo che al riguardo c’è da rilevare che, anche se il mercato è in affanno, mentre la Fiat perde mercato in assoluto e in percentuale, altre aziende (tanto per non fare nomi: la Volkswagen e la Toyota) aumentano le loro vendite in tutto il mondo.
Allora, forse, il difetto non è nel mercato, ma nella Fiat. Le auto Fiat si chiamano ancora Panda (auto dei primi anni ’80), 500 (auto degli anni ’50) mentre la Croma (degli anni ’80) è uscita dal listino da poco, sostituita da una ignota Freemont di 3.600 cc. Certo Panda e 500 sono state rinnovate o cambiate radicalmente, ma nella mente del consumatore richiamano sempre alla mente vetturette, misere e spartane vendute in grande quantità solo per il prezzo e grazie alla protezione doganale, ora abolita. Mentre oggi la 500 più economica a listino costa 13.670 € contro gli 11.000 delle sue concorrenti e l’unico modello che si pretende nuovo è la citata Freemont che costa e consuma molto di più di auto ben note ed apprezzate.
 
Come ho già scritto in un articolo di vari mesi fa, se Marchionne invece di lottare contro i suoi dipendenti scoprisse che la mission della Fabbrica Italiana Automobili Torino è produrre auto, poi, forse, riuscirebbe anche a venderle. E a pagare i dipendenti. Ma fino a che continuerà a seguire la politica del non investimento in nuovi modelli, pubblicità e marketing avrà davanti la chiusura o la cessione di opifici. Il fatto è che, a mio avviso, Marchionne si occupa più di politica che di industria, è più occupato a cercare di portare in Italia l’assenza di welfare degli Usa che a cercare rimedio ai difetti dell’azienda che guida.
 
Marchionne, si diceva, ha dichiarato di non poter effettuare gli investimenti promessi a causa della situazione di crisi attuale. Solo che, da che mondo è mondo, il momento adatto per investire, per iniziare o potenziare un’azienda è proprio quello di crisi. Questo si insegnava quando da adolescente andavo a scuola, questo si insegnava quando andavo all’Università e questo ho sperimentato durante i quaranta anni in cui mi sono occupato di risanamenti d’azienda.
Ovvio: nulla a che vedere con grandi aziende. Io ho sempre curato piccole aziende con qualche miliardo di fatturato (massimo 22) e non posso certo insegnare nulla a Marchionne, ma è noto che durante le crisi si trovano (e a condizioni vantaggiose) tutto il necessario alla produzione: terreni, immobili, capitale finanziario, dipendenti di ogni livello e qualifica, joint venture ecc. Persino nuovi e più convenienti patti sindacali. E’ questo il momento di tirare fuori nuovi prodotti, di cercare ingegneri e stilisti, di fare alleanze produttive e commerciali. Sempre, naturalmente, che si vogliano produrre e vendere automobili e non solo abolire il welfare. Ora debbo toccare un altro aspetto.
 
Promesse e impegni di Fabbrica Italia
Con Fabbrica Italia, Marchionne non ha fatto solo una promessa che, come promessa al pubblico, sarebbe comunque vincolante, Marchionne ha stipulato un vero e proprio contratto con sindacati, lavoratori e Stato: in cambio di agevolazioni, appoggi (politici), moderazione (sindacale), aiuti (non economici) si è impegnato ed ha impegnato l’azienda che rappresenta a fare degli investimenti, a ideare e lanciare nuovi prodotti.
Gli altri hanno mantenuto, i sindacati hanno ceduto su tutta la linea (Fiom-Cgil esclusa), i lavoratori hanno votato come ha chiesto al referendum, il Governo lo ha appoggiato… ora è lui che deve mantenere le sue obbligazioni. Contrattuali.
E, se non lo fa, qualsiasi cosa ne dica la ministra Fornero, lo Stato ha diritto ad agire contro la Fiat spa e contro di lui personalmente per ottenerne l’esecuzione coattiva. E i danni. A mio avviso. 

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