Mappa del potere mondiale: la svolta irachena

par Aldo Giannuli
venerdì 20 giugno 2014

L’offensiva di Al Quaeda in Irak sembra trovare ostacoli inconsistenti e le forze armate governative non in grado di fermarla. Per gli americani è un disastro senza precedenti: 10 anni di guerra in Irak ed altri 13 in Afghanistan, costati un pozzo di soldi, per ritrovarsi con un fondamentalismo islamico più forte di prima ed un Irak a pezzi. Appare assai dubbio che l’esercito irakeno possa farcela da solo a recuperare il controllo della situazione senza un appoggio americano.

Ma l’idea di tornare a impantanarsi nell’eterno conflitto irakeno è cosa da far rabbrividire Obama ed i suoi: dove trovare i soldi per un nuovo sforzo bellico? Si potrebbe provare a dare ai governativi una forte copertura aerea, ma, a parte il fatto che anche questa costa, non è affatto detto che funzioni, per le caratteristiche dello scenario di guerra. E, per di più, va presa inconsiderazione l’ipotesi di una fusione della crisi irakena con quella siriana: ad esempio, i quaedisti potrebbero usare la Siria come linea di arretramento, pronti a tornare all’attacco una volta esauriti i raid aerei.

A meno di inseguirli sino nei “santuari” siriani, ma con il rischio di trovarsi risucchiati di nuovo in un conflitto di lunga durata e con prospettive confusissime.

Gli americani, in questa fase, non possono rischiare di impantanarsi in una guerra mediorientale (si è visto che fine ha fatto la minaccia di intervento in Siria) perché hanno altri due scacchieri strategici da vigilare: Ucraina e Cina. Gli Usa sono impegnati una una sorta di nuovo containement di russi e cinesi per pensare di impegnarsi altrove. Tutto il resto sarebbe un diversivo.

Uno spiraglio viene da dove meno ce lo si poteva aspettare: da Teheran che, per proteggere gli sciiti dai massacri quaedisti, ha proposto un intervento congiunto agli americani. Sulla carta la cosa avrebbe ottime probabilità di riuscita: l’esercito iraniano è uno dei più forti dell’area, avrebbe sicuramente l’appoggio della popolazione sciita e, con l’intervento anche solo dell’aviazione americana, per i quaedisti non ci sarebbe partita. Già ma le conseguenze quali sarebbero?

In primo luogo questo rafforzerebbe tutte le spinte secessioniste dell’area sciita e renderebbe molto più consistente il disegno del “grande Iran”, anche perché l’Iran avrebbe le truppe a terra in tutto l’Irak orientale-meridionale e gli americani sarebbero svantaggiati. Poi, una secessione sciita incoraggerebbe quella curda, con la prospettiva della fine dell’Irak, che era esattamente quello che gli americani hanno voluto evitare sin dal primo giorno dell’invasione. Di fatto, il garante degli equilibri geopolitici dell’area diventerebbe l’Iran, con il quale gli Usa sarebbero costretti a fare i conti. E questo archivierebbe definitivamente le polemiche sul nucleare iraniano.

Ma quali sarebbero le reazioni di Arabia Saudita ed Israele? I sauditi avrebbero subito da temere ripercussioni nel Barhein, gli israeliani la ripresa della campagna contro di sé ed il pericolo di un Iran armato atomicamente e con più peso militare e politico non è cosa che possa rendere tranquilli i sonni israeliani (e lo capiamo perfettamente). E ci sarebbe anche il problema del Pakistan, visto che le sue province occidentali sono sciite e magari l’idea di un tacito accordo indo-iraniano per banchettare sulle sue spoglie potrebbe maturare in fretta. E, comunque, il Pakistan avrebbe ragione di temerlo. Insomma, sarebbe un urto a ricaduta tale da rimettere in discussione tutti gli equilibri dell’area dal canale di Suez ad oriente.

Possono permettersi tutto questo gli americani? Credo di no. Anche perché dovrebbero rimettere in discussione alleanze storiche come quella con Israele o con l’Arabia Saudita.

Potrebbe esserci anche l’idea di una forza multinazionale, coinvolgendo Sauditi e Turchi, ma, a parte le difficoltà del progetto ed i tempi di attuazione necessari, che non vanno d’accordo con l’urgenza, comunque, alla fine, occorrerebbe pur sempre dare qualche riconoscimento all’Iran.

Certo esiste anche la possibilità di un intervento congiunto a due, limitato e concordando precisi limiti entro i quali gli iraniani dovrebbero stare, ma poi come garantirsi dal rischio che la situazione sfugga di mano?

Nel complesso, credo che gli americani sceglieranno l’intervento aereo, sperando che funzioni, e, in caso contrario valuterebbero cosa fare. In ogni caso, un fallimento più completo della strategia interventista di Bush non potrebbe esserci: l’Irak si è rivelato per gli Usa un disastro politicamente molto peggiore del Vietnam.


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