Manifesto capitalista. Cittadini e azionisti contro banchieri e lobbisti

par Damiano Mazzotti
sabato 24 novembre 2012

“Manifesto capitalista” dell’italoamericano Luigi Zingales, è un saggio profondamente etico e liberale, ricco di esempi semplici, di studi astuti e di aneddoti poco noti e molto significati, a livello storico, economico e politico (Rizzoli, 2012).

 

“Sono stato votato dagli elettori e finanziato dai sostenitori. Agli elettori non importa, ma ai sostenitori sì”. Deputato americano anonimo. “La verità è uno dei tanti gruppi di interessi e, come se non bastasse, uno di quelli con meno finanziamenti”. Economista americano anonimo.

In questi ultimi anni il capitalismo occidentale è stato contaminato da familismo, clientelismo, corruzione e incompetenza. L’economia è stata schiavizzata da una forma di aristocrazia finanziaria con poteri insaziabili. La democrazia è stata esiliata nel passato: l’idea di un “governo del popolo, dal popolo e per il popolo” è sopravvissuta solo nei libri di storia. Si riduce il welfare ai lavoratori e ai disoccupati e si ingigantisce il welfare alle imprese e alle banche. La meritocrazia è stata gambizzata senza pietà da manager e politici: “Chi conosci è più importante di cosa conosci”.

Per Zingales gli Stati Uniti hanno imitato l’Italia e si sono ficcati in grossi conflitti di interessi istituzionali molto pericolosi. Bisogna ricordare che “è solo grazie alla competizione tra interessi economici divergenti che si migliora il benessere di tutti… è dalla competizione tra accademici e giornalisti in cerca di fama che il potere economico e politico è costretto a rendere conto delle sue azioni”. Purtroppo oggigiorno le frodi accertate riguardano quasi il 10 per cento delle società per azioni, “con un costo medio del 41 per cento del valore dell’impresa” sottratto agli azionisti.

Avvocati e lobbisti sono gli ispiratori delle deregolamentazioni, anche se all’inizio il lobbismo aveva alcune caratteristiche positive. Kennedy disse che “i lobbisti sono in gran parte tecnici esperti, abili nel presentare temi complessi in modo semplice e accattivante”. Invece il lobbismo senza concorrenza diventa una forma di corruzione legalizzata e Zingales sogna il giorno in cui i manager “si vergogneranno di spendere troppo in attività di lobby”. D’altra parte “chiunque partecipi ai guadagni senza prendere parte alle perdite è fortemente incentivato a correre rischi elevati”.

Ad esempio le grandi banche d’affari godono di molte protezioni politiche e “i cittadini pagano due volte: per i sussidi che devono pagare e per le inefficienze [gli abusi e i danni] causate da banche troppo grandi per essere gestite” bene. E molte istituzioni sembrano essersi dimenticate del ruolo di controllori: negli Stati Uniti solo il 7 per cento delle frodi è identificato dalla SEC (Securities and Exchange Commission), nel 17 per cento dei casi è un impiegato, seguono i venditori allo scoperto (15%), gli analisti (14%), gli enti non finanziari (13%), i media (13%), i concorrenti (5%), gli avvocati (3%) e gli azionisti (3%). Quindi il potere degli azionisti è troppo frammentato per essere influente.

Per quanto riguarda l’onestà intellettuale degli economisti si può dire che è un “problema diffuso in tutti gli ambiti professionali. Gli esperti più competenti sono anche i meno obiettivi perché tendono a essere anche i più specializzati, con un numero ridotto di datori di lavoro che quindi temono di perdere” (p. 26). Così il “New York Times” risulta più attendibile nel valutare prodotti finanziari e fondi di investimento: infatti “ha una vasta gamma di inserzionisti, mentre i giornali più specializzati dipendono maggiormente da pochi inserzionisti che non possono permettersi di alienarsi”. Anche per i medici molto specializzati esistono grandi conflitti di interessi nelle pubblicazioni scientifiche e nei confronti di chi finanzia le ricerche o le terapie.

Comunque l’economista italoamericano non appartiene alla categoria dei fondamentalisti della Scuola di Chicago e segue una filosofia scientifica molto operativa e realista, poiché non esiste ipotesi, idea, ideologia, “crimine, trucco o truffa che possa resistere a una seria analisi dei dati” (anche a distanza di tempo). Però i burocrati e gli accademici sono diventati bravissimi a ignorare, a nascondere o a evitare i dati e i risultati. Ad esempio uno studio all’interno di alcuni istituti bancari ha dimostrato che le donne a parità di mansioni guadagnano quasi sempre di meno degli uomini e sono quasi sempre più produttive (naturalmente lo studio non è stato pubblicato).

Zingales riconosce che quando gli azionisti, gli investitori e “i consumatori sono male informati, la competizione induce le imprese a sfruttare questa ignoranza, invece che a migliorare l’efficienza”. Perciò sottolinea “l’importanza delle regole. Ma le regole devono essere poche e semplici. Regole semplici rendono più difficile accomodare interessi specifici, riducendo l’interesse a fare lobby. Regole semplici aiutano gli elettori a controllare i loro eletti”. Del resto uno dei migliori presidenti americani affermò: “È difficile migliorare la nostra condizione materiale attraverso la migliore delle leggi, ma è molto semplice peggiorarla con delle cattive leggi” (Roosevelt fu rieletto quattro volte).

In conclusione posso affermare di aver letto uno dei migliori libri sulle relazioni tra economia, politica, storia e società, grazie a uno dei sempre più rari “accademici d’inchiesta”. Chi troverà il tempo di approfondire questa lettura scoprirà perché “il vero e straordinario segreto insito nel capitalismo non è la proprietà privata né la ricerca del profitto, ma la concorrenza” (p. 355).

 

Luigi Zingales si è laureato all’Università Bocconi, ha ottenuto un dottorato al MIT e insegna “Impresa e Finanza” alla Booth School of Business dell’Università di Chicago. Nel 2003 ha vinto il premio Bernácer per il miglior giovane economista europeo under 40 (www.bernacerprize.org). In Italia collabora col “Sole 24 Ore” e “L’Espresso”.

 

Note - Secondo Zingales in Italia esistono le migliori segretarie e i peggiori manager. Dopo secoli di malgoverno in Italia vale ancora questo motto: “È una cosa ben schifosa, il successo: la sua falsa somiglianza con il merito inganna gli uomini” (Victor Hugo). Dobbiamo quindi combattere senza pietà la “Peggiocrazia” per non sprecare le opportunità create da questa crisi economica e politica.

-“Quando lo Stato inizia a prendersi 50 centesimi su ogni dollaro guadagnato, trasforma le persone in schiavi” (p. 309). Probabilmente sarebbe meglio iniziare a “tassare l’indebitamento a breve delle banche” (p. 357). Lo strapotere delle grandi banche va ridimensionato e “In tutta sincerità ritengo che le banche siano più pericolose di un esercito in armi” (Thomas Jefferson).


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