Mafia, destra e apparati: intreccio che non muore
par La bottega del Barbieri
giovedì 26 giugno 2025
di Mario Sommella (*). A seguire molti link – apparsi sulla “bottega” e su Libera – a proposito dell’espansione mafiosa nel centro-nord.
La lunga ombra della trattativa: mafia, destra e apparati, il disegno che non muore mai
Non è nostalgia. È strategia. La saldatura tra pezzi infedeli dello Stato, poteri criminali e forze politiche reazionarie non è mai venuta meno: ha solo cambiato pelle, adattandosi ai tempi. Chi pensava che la “trattativa Stato-mafia” fosse una parentesi chiusa, oggi deve ricredersi. Le trame di ieri riaffiorano oggi, lucide e pianificate. E i protagonisti – vecchi e nuovi – non sono mai usciti di scena.
La sentenza definitiva del processo sulla trattativa Stato-mafia, pur avendo assolto gli ufficiali del ROS Mario Mori e Giuseppe De Donno, ha riconosciuto senza ombra di dubbio che la trattativa ci fu davvero. È un fatto giuridicamente accertato: lo Stato, attraverso i suoi apparati, ha aperto un canale con Cosa Nostra mentre il Paese era ancora coperto dalle macerie di Capaci e via D’Amelio. I mafiosi sono stati condannati, i rappresentanti dello Stato assolti. Ma il fatto rimane. E pesa. Moralmente, politicamente, storicamente.
Come sottolinea Antonio Ingroia nel libro “Traditi” (scritto con Massimo Giletti), ciò che è emerso è l’indicibile: lo Stato, anziché combattere il ricatto mafioso, ha scelto di sedersi al tavolo con gli assassini dei suoi servitori migliori. E se oggi si cerca di riscrivere quella storia, di rovesciare la memoria di Falcone e Borsellino, è perché quella verità — anche se non condannata — fa ancora paura.
Il ritorno di Mori e il controllo sull’antimafia
Il nome di Mario Mori è tornato al centro del discorso pubblico non per un processo o per una sentenza, ma per una serie di intercettazioni recenti, in cui l’ex generale dei carabinieri, già al vertice del ROS e poi del SISDE, discuteva con ex ufficiali, avvocati e giornalisti sulle strategie per pilotare l’indirizzo della Commissione Parlamentare Antimafia. L’obiettivo? Inserire propri consulenti, influenzare la narrativa, emarginare le voci scomode.
Secondo chi ha ascoltato quelle conversazioni, Mori non nega, anzi: rivendica la sua influenza sulla Commissione guidata da esponenti di Fratelli d’Italia, e si adopera per imporre nomi graditi: un magistrato, un professore, un giornalista condannato per diffamazione ai danni di Roberto Scarpinato, uno dei simboli della vera lotta alla mafia.
Il progetto è chiaro: smontare la lettura politica delle stragi, ridurre la figura di Borsellino a un isolato, silenziare chi indagò sulla pista nera e sugli appalti. E magari, insinuare che furono i suoi colleghi della Procura a ostacolarlo. Una narrazione funzionale non alla verità, ma alla vendetta. Non alla giustizia, ma al revisionismo.
Apparati infedeli: gli applausi allo sfregio
Non è solo una questione di nomi. È una questione di legami, di culture comuni, di complicità storiche che si manifestano ancora oggi, persino nei dettagli delle telefonate private.
Nel 2012, durante un’intercettazione della DIA, viene captata una telefonata tra Giuseppe De Donno, già ufficiale del ROS e braccio destro di Mori, e Marcello Dell’Utri, senatore, fondatore di Forza Italia. Nella chiamata, i due si congratulano e si compiacciono vivamente per l’annullamento con rinvio della condanna di Dell’Utri da parte della Corte di Cassazione. Non parlano di diritto, non discutono giuridicamente: gioiscono per la “mazzata” inflitta ai pm di Palermo. Con tono complice, di chi sa da che parte stare.
Marcello Dell’Utri sarà poi condannato in via definitiva dalla Cassazione a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la sentenza, fu il trait d’union tra Cosa Nostra e l’élite politica del nuovo centrodestra berlusconiano, uno degli architetti del patto che permise alla mafia di sopravvivere e adattarsi al nuovo corso istituzionale. Un uomo al centro del disegno politico che ha trasformato la trattativa da fatto emergenziale in strategia di sistema.
È un frammento di verità che pesa come una pietra. Perché mostra la continuità etica — o meglio, anti-etica — tra gli uomini delle istituzioni e i referenti del potere politico vicino a Cosa Nostra. Perché dimostra che chi ha trattato, chi ha omesso, chi ha coperto, non ha mai smesso di sentirsi nel giusto. E oggi è ancora lì. A dettare l’agenda, a entrare nei palazzi, a riscrivere i manuali della Repubblica.
La pista nera che ritorna
Ma proprio mentre si tenta di seppellire la memoria scomoda della “pista nera”, ecco che la storia riemerge. Una testimonianza inedita colloca Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, a Palermo nei primi mesi del 1992. L’uomo che ha attraversato trent’anni di eversione nera, indagato in quasi tutte le stragi, viene visto nella redazione di un giornale siciliano. Non è lì per caso: sta cercando spazio politico, fonda movimenti, stringe alleanze. La sua presenza in Sicilia, a ridosso della stagione delle stragi, non è mai stata spiegata. È stata, semmai, insabbiata.
Già negli anni ‘90, confidenze raccolte da ufficiali dei carabinieri avevano indicato movimenti sospetti dell’estremista nero nella zona di Capaci, legati addirittura a tentativi di recupero di esplosivo. Quelle informative furono archiviate. Arnaldo La Barbera, capo della Mobile e regista delle prime indagini su via D’Amelio, smentì categoricamente. Ma oggi emergono elementi che smentiscono lui. E con lui, l’intera versione ufficiale.
La pista nera non è solo una suggestione: è un’ipotesi mai davvero investigata, perché pericolosa. Perché riconduceva al cuore nero dello Stato, al legame organico tra mafia e destra eversiva, tra strategia della tensione e criminalità organizzata.
Apparati infedeli e convergenze oscure
I rapporti tra mafia e destra non sono una novità. Ma è nella saldatura con apparati dello Stato che il quadro diventa esplosivo. È il caso di Bruno Contrada, vicedirettore del SISDE, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. È il caso delle confidenze e delle amicizie tra Mori, De Donno e Dell’Utri, quest’ultimo figura centrale del berlusconismo delle origini, ideologo, reclutatore, mediatore tra politica, affari e criminalità.
E oggi, mentre si tenta di riscrivere la storia, si rivedono gli stessi schemi: pressioni politiche sull’antimafia, delegittimazione dei magistrati storici, infiltrazioni nei luoghi istituzionali della memoria e della verità. Non siamo davanti a deviazioni, ma a una vera contro-narrazione, organizzata e strutturata, tesa a revisionare la storia degli anni delle stragi, per assolvere apparati, deresponsabilizzare politici, riscrivere le gerarchie del consenso.
La posta in gioco: restaurazione o giustizia?
Ci troviamo di fronte a un progetto di restaurazione, non solo ideologica, ma materiale. Una restaurazione che parte dalla riscrittura del passato per giustificare il controllo del presente. Che trasforma la Commissione Antimafia in un’arena politica, piegata ai desideri di chi la mafia l’ha favorita o usata.
Tutto questo non accade per caso. Avviene in un contesto in cui la repressione si fa legge, la sorveglianza si fa algoritmo, e il dissenso viene etichettato come estremismo. La macchina si chiude, il cerchio si stringe. Il passato eversivo e mafioso diventa il laboratorio ideologico del futuro reazionario.
Non si tratta più solo di negare la verità sulle stragi. Si tratta di preparare il terreno a un nuovo ordine, in cui le voci critiche vengono zittite, e le strutture democratiche vengono svuotate dall’interno.
il dovere della memoria, la necessità della vigilanza
Oggi più che mai, la memoria non è un esercizio storiografico, ma un atto politico. Sapere chi era a Palermo nel 1992, chi parlava con chi, chi insabbiava le piste e chi bruciava i dossier, è decisivo per capire cosa accade oggi nelle aule parlamentari, nelle procure, nelle redazioni.
Non è solo un problema di giustizia storica. È una questione di sicurezza democratica.
Se lasciamo che chi ha favorito le stragi detti oggi la linea sulle stragi, se permettiamo che le vittime vengano umiliate con narrazioni rovesciate, se accettiamo che apparati deviati influenzino ancora le istituzioni, allora il pericolo non è solo di ieri. È qui. È oggi. È ora.
La trattativa non è mai finita. Si è solo fatta sistema. E questo sistema va smascherato. Prima che sia troppo tardi.
FONTI
Le informazioni contenute in questo articolo sono state rielaborate a partire da due inchieste pubblicate il 21 giugno 2025 su Il Fatto Quotidiano, relative alle nuove rivelazioni sulle attività del generale Mario Mori e alla presenza documentata di Stefano Delle Chiaie a Palermo nel 1992. Gli approfondimenti si riferiscono alle indagini della DIA di Firenze, alla sentenza sulla trattativa Stato-mafia, e ai recenti contributi editoriali emersi dal libro “Traditi” di Antonio Ingroia e Massimo Giletti.
Una parte rilevante delle informazioni, inoltre, è stata anticipata nell’ambito della puntata di Report in onda domenica 22 giugno 2025, dal titolo “Mori va alla guerra”, che approfondisce le pressioni esercitate sul lavoro della Commissione parlamentare Antimafia.
(*) ripreso da «Un blog di Rivoluzionari Ottimisti. Quando l’ingiustizia si fa legge, ribellarsi diventa un dovere»: mariosommella.wordpress.com
In “bottega” vedi anche Mafia liquida, imprenditori criminali e “nuove” massomafie (di Alessio Di Florio), Stato-mafia: la storia, la magistratura e i giornalisti (di Gianluca Cicinelli), ma anche Beni confiscati alle mafie (con articoli di Giulio Cavalli, Luca Tescaroli, Libera e il Report sul Riutilizzo Sociale dei Beni Confiscati alle Mafie) e Benvenuti nel Quarto Reich (di Alessandro Taddei)
MOLTI ALTRI LINK UTILI IN “BOTTEGA” E SU LIBERA PER CAPIRE DOVE CRESCONO LE MAFIE
Intanto le grandi organizzazioni criminali allungano i tentacoli in altre zone d’Italia.
Come scrive Alessio Di Florio Le mafie in Abruzzo ci sono da anni; vedi anche Mafie dei pascoli, territori che non ci appartengono più (con l’intervista a Lina Calandra).
Chi non fa come gli struzzi e nasconde la testa sotto terra sa che, da molto tempo, la Lombardia è politicamente controllata (anche al voto) da gruppi mafiosi: in “bottega” cfr Lombardia: terra di mafia e… di Martina Maria Tenti che approfondisce anche il discorso sul riuso sociale dei “beni confiscati” e sulle recenti norme europee a proposito del riciclaggio.
Ma anche il Veneto è sotto controllo e il recente rapporto semestrale della DIA sottolinea che «Non si può guardare alla delinquenza organizzata solo volgendo lo sguardo verso i territori del sud Italia»: vedi Le mafie godono di buona salute di Antonio Massariolo.
Piace alle istituzioni dell’Emilia-Romagna dirsi immuni dalle infiltrazioni della grande criminalità ma i fatti sono pesanti nel dire il contrario: cfr Ma le mafie sono anche in Romagna (di Davide Fabbri) e in precedenza Accade in quel… (di Enzo Stefanini) che riprende un libro – vedi ‘Ndrangheta, Emilia e tempo di saldi – pubblicato nel 2015, ma solo a livello locale e distribuito nelle edicole dal quotidiano «Repubblica» d’intesa con le tre «Gazzetta» di Mantova, Modena e Reggio e con «La Nuova Ferrara».
La copertina come si vede qui sopra è “tosta”. Il sottotitolo spiega «Infiltrazioni e complicità: i documenti d’accusa della magistratura». E rimanda soprattutto all’inchiesta Aemilia. Ma chi volesse approfondire guardi anche «EMILIA ROMAGNA COSE NOSTRE 2012-2014. Cronaca di un biennio di mafie in Emilia Romagna», un dossier realizzato dalla collaborazione fra Gaetano Alessi, Gruppo antimafia Pio La Torre e Gruppo dello Zuccherificio. E delle mafie emiliane qualcosa di interessante hanno raccontato alcuni romanzi, in particolare la trilogia del bravo (ma sconosciuto) Antonio Fantozzi; cfr La ‘ndrangheta è a Reggio… ma in Emilia .
Il 9 luglio il gup raccoglierà le scelte degli imputati (sui riti alternativi, come abbreviati e patteggiamenti, o ordinari) per la prosecuzione dell’udienza preliminare nella maxi udienza a carico di 143 persone, davanti al gup milanese Emanuele Mancini, scaturita dall’inchiesta “Hydra” della Dda su un presunto «sistema mafioso lombardo», un’alleanza fra “appartenenti” a Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra che sarebbe stato attiva fra Milano e Varese per fare affari.
Si possono vedere alcuni passaggi dell’inchiesta su www.liberainformazione.org:
Hydra: maxi udienza preliminare a Milano sul ‘sistema mafioso lombardo’ ,
Hydra, arriva in Cassazione l’inchiesta della Dda di Milano sull’alleanza delle mafie in Lombardia ,
Minacce al procuratore di Milano Marcello Viola e a Alessandra Cerreti, pm Dda
e Hydra: maxi udienza preliminare a Milano sul ‘sistema mafioso lombardo’.