M5S: un interrogativo

par Rosario Grillo
sabato 9 marzo 2013

La democrazia ha eletto il Parlamento come organo deputato all'elaborazione delle deliberazioni pubbliche, rivolte al benessere della comunità.

Mi riferisco alla democrazia della rappresentanza, epilogo dell'ideale democratico nato nell'antica Grecia nel corso del V secolo a.C..

Con la rappresentanza i cittadini, fiduciosi, delegano gli eletti ad approfondire, mediare e deliberare i contenuti e i modi del fare economico, amministrativo e sociale dell'intera comunità nella sua vicissitudine storica, presente e futura. (Con questa formula ho voluto sintetizzare tutto un insieme di problematiche attinenti il mondo del lavoro, della cultura, dei rapporti interpersonali eccetera).

La complessità spaziale e la decantazione riflessiva hanno consigliato nel tempo la mutazione della democrazia antica, nata nella forma assembleare-diretta (ma sarebbe corretto menzionare l'incidenza del "sorteggio "), in democrazia della rappresentanza.

I partiti, attraverso gli imput del liberalismo inglese (contesto allargato della fase rivoluzionaria che in Inghilterra va dal 1640 al 1688) e del pathos rivoluzionario francese (periodo prolungato dal 1780 al 1814), sono stati gli organi deputati a raccogliere le istanze e i bisogni della società e a preparare gli uomini (la classe politica) preposti a ricevere la delega, funzionari della rappresentanza parlamentare.

Non sbagliarono perciò i nostri padri costituenti nel qualificare i partiti come "libere associazioni", con le quali i cittadini espletano a pieno il diritto di "determinare la politica nazionale" (articolo 49 della Costituzione). Forse averli mantenuti fuori del riconoscimento giuridico, in veste di enti di diritto pubblico, è stato voluto, proprio per salvaguardare la piena libertà e la sovrana spontaneità, in una parola il nucleo fondante della partecipazione.

Toccando il tasto della libertà, automaticamente si è rinviati agli accessori complementari indispensabili: pluralismo e soggettività. Con l'ultimo termine si evidenzia la qualità innata ed immutabile, connotato etimologico del "partito": essere fazione, parte.

Sta appunto qui il quid concreto, mutante del soggetto "partito": prendere vita dai bisogni reali e cercare soluzioni universali.

Il pluralismo è indice della mescolanza dei bisogni e del metodo della mediazione dialogica per la ricerca delle soluzioni.

Senza dubbio la presenza della società di massa, richiedendo partiti adeguatamente organizzati, con la sempre più vistosa macchina burocratica, implicita nel fattore organizzativo, ha scompensato il rapporto eletti-elettori.

Di questa tendenza, in Italia, visti il lascito del clientelismo politico di ascendenza democristiana, la degenerazione partitocratica negli anni del CAF, il fallimentare sistema bipolare e l'indegno Porcellum, abbiamo avuto la prova più evidente, fino all'esplosione dell'indignazione popolare contro il sistema dei partiti.

I teorici della politica, soprattutto nel versante della sociologia, per tempo hanno insistito nell'evidenziare tendenze autoritarie, o almeno oligarchiche, insite nell'enfasi burocratica (Michels, Mosca), o per consigliare rimedi come la leadership carismatica, se possibile rivestita del "principio di responsabilità" (M. Weber).

Ma il correttivo principale è la risalita alla qualità nobile della politica. Con nobile non voglio dire inerente al notabilato, ma distinguere la virtus re-pubblicana della politica.

L'anima della politica è, fondamentalmente, repubblicana; perciò ha trovato nella democrazia la forma di governo più idonea. Anche se bisogna riconoscere che neppure la democrazia è regime perfetto e richiede difatti continui aggiustamenti, che sono risintonizzazioni delle esigenze dell'attualità con la "virtus" repubblicana (anima interna).

La congerie dei supporti organizzativi, mescolata alle ambizioni irrefrenabili degli individui e alla voracità dell'economia capitalista (richiedente il primato del verbo economico), hanno determinato la sclerosi burocratica dei partiti. Essi sono diventati macchine pesanti, inadatte a correre allo stesso ritmo della società presente e dello sviluppo tecnologico; ulteriormente frenate dalla prevalenza degli organismi dirigenti e d'apparato sulla base degli elettori (simpatizzanti ed iscritti).

In Italia il fenomeno ha assunto gradi veramenti patologici e, innestandosi in una tradizione di relativa giovinenezza dello Stato nazionale e di tendenziale/ancestrale vocazione al "particularismo" degli italiani, ha portato ad una crisi rovinosa, che ormai si trascina da trent'anni. Crisi che è stata ulteriormente alimentata da quella mondiale in atto dal 2008, ricaduta sull'Italia con aumenti di oneri fiscali insopportabili dentro un quadro di disoccupazione crescente e di evidente difficoltà di sviluppo.

L'exploit si è avuto alle recenti elezioni politiche con il successo del non-partito M5S di Grillo.

Tralascio qui un esame del personaggio leader di questo movimento e della qualità politica del suo messaggio ricadente, per buona parte, nel cliché del populismo.

Mi soffermo invece sull'elemento vincente e pubblicizzato all'infinito, tanto da divenire l'elemento sfida del parlamentarismo.

Il non-partito grillino si è mantenuto e vuol continuare ad essere un movimento, privo di un'organizzazione che non sia la rete dei blog grillini e l'insieme dei "meetup" territoriali. Di conseguenza richiede un adeguamento del metodo parlamentare alla sua estemporaneità.

Nello stesso tempo esige una politica condotta in presa diretta senza agende prefissate (oppure con la possibilità di un'agenda minima), senza programmazione.

Il pericolo, già qualche volta emerso, potrebbe essere quello di lasciar passare un diktat dall'alto (vedi la tipologia del guru) o di creare l'occasione per l'intervento subdolo di forze o poteri occulti, estranei alla democrazia.

Inoltre, dopo aver fatto tutte le critiche possibili e legittime alla burocrazia e proposto i necessari correttivi, è da ritenersi che la programmazione resta la miglior metodica per affrontare con cognizione il futuro.

Invece ci sembra fantasioso ed intonato alla suggestione spensierata dell'"attimo fuggente" il metodo proposto dai grillini: la deliberazione occasionale del giorno per giorno.

Molto opportuna, invece, la proposta d'innovare in ogni partito la relazione tra "il corpo e le membra", dei partiti con l'insieme dei movimenti e delle associazioni, che pulsano nella società viva, di moltiplicare i momenti e i luoghi per compiere questa "auscultazione".

In definitiva, è sempre la tutela della democrazia il discriminante, ed è anche la fonte d'ispirazione per la buona soluzione: rispettare la sovranità popolare e quindi deliberare il "bene comune".


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