M5S: "come se" avesse perso

par Fabio Della Pergola
giovedì 29 maggio 2014

Esilarante.

Secondo notizie di stampa (virgolettate) quello che segue è il comunicato stampa del M5S dopo la tornata elettorale di domenica scorsa:

«Considerando un'affluenza alle Europee attorno al 58% contro il 75% delle politiche dell'anno scorso - continua la nota di M5S Camera - è come se avessimo perso poco meno di un milione di voti. Comunque è un calo, ma non l'emorragia di cui si favoleggia in queste ore. Ricordiamo che abbiamo comunque consolidato un ampio consenso di persone che credono nel progetto del M5S, malgrado chi l'anno scorso ci giudicava un fenomeno evanescente. E soprattutto siamo passati da zero a 17 eurodeputati. Cittadini che - concludono i parlamentari 5 stelle - pianteranno a Strasburgo il seme della partecipazione, dell'attenzione ai problemi concreti e della sovranità italiana in Europa».

È "come se" avessimo perso un milione di voti (anziché i tre milioni che emergono inconfutabili nella loro devastante potenza di accecante fulgore) appare in maniera evidente come la prima manifestazione di incapacità di fare una seria analisi politica della sconfitta elettorale.

Lasciamo perdere l’onestà intellettuale, l’etica nella comunicazione e altre bazzecole di questo tipo che non competono, quasi come un dato di natura, a chi fa politica. Ma l’analisi di una sconfitta sì, che compete ai politici. Anche ai politici novellini come i 5 stelle.

E se, dopo aver visto sfumare 3 milioni di voti sugli 8,5 raccolti solo un anno fa, ci si consola con uno squallidissimo “come se fosse un milione solo” è tassativo fare i conti con se stessi, prima di tutto. Con la propria intelligenza.

“È un calo, ma non l’emorragia di cui si favoleggia” scrivono ancora. Ma 3 su 8,5 corrisponde al 35% di voti persi. A casa mia si chiama emorragia. E di quelle brutte, anche. Equivalente alle milionate di voti persi dal PD e dal PDL un anno fa, verso i quali si scatenò la bagarre dei Cinquestelle: “Siete finiti!”. Ma qui la situazione è aggravata dall’incidenza percentuale più alta: un conto è perdere 4 milioni su 12 (che corrisponde al 30%), altro è perderne 3 su 8,5 (cioè il 35%); tanto per capirsi, è peggio.

Ma il gruppo di deputati a Cinquestelle non si arrende all’evidenza: «Assistendo al dibattito di queste ore, dobbiamo smentire alcune leggende metropolitane che stanno circolando sui dati elettorali. È sbagliato affermare che abbiamo perso quasi 3 milioni di voti».

Evabbé, contenti loro: la matematica è diventata un'opinione, secondo gli schemi del più abusato e trito slang politichese.

Ma non sono contenti i filogrillini che sparano ad alzo zero per difendere tutto (ma proprio tutto) quello che il Capo ha detto e fatto.

Si distingue Jacopo Fo, figlio del Nobel Dario (ex figura simbolo del ribellismo del '68, ma anche ex repubblichino di Salò), che timidamente tenta una qualche critica:

“I fatti hanno dimostrato l’esistenza di due errori nella visione del M5S. Il primo lo ha subito ammesso Beppe: l’Italia è un Paese dove i pensionati mentali sono troppi. Persone che non hanno voglia di costruire un mondo migliore per i loro figli. È stato un errore credere che sarebbe stato possibile arrivare prima al 51% dei voti e poi cambiare l’Italia”.

L’errore sarebbe stato di non vedere che, essendoci troppi “pensionati mentali” (espressione offensiva verso quelli, pensionati e non, che molto semplicemente si sono rifiutati di credere alle bufale iconoclaste del megafono in questione) non sarebbe stato possibile raggiungere il 51% dei voti.

Fantasioso Fo. L’errore casomai non sarà stato di proporre la maggioranza assoluta come un obiettivo raggiungibile in una società moderna e avanzata, dove i pareri informati e la cultura media sono ben più di quello che si crede ? E dove, perciò, pensare di poter avere un plebiscito maggioritario solo perché si urla “vaffanculo tutti!” è, banalmente, un’idiozia?

Ma lui, imperterrito, secerne il suo pensiero profondo: “Non c’è nessuna possibilità fisiologica che questo succeda in un Paese dove una grande parte della popolazione vive di clientele, evasione fiscale, raccomandazioni, assistenzialismo, e dove il 75% della popolazione non arriva a leggere due libri all’anno…”.

Noi ribelloidi siamo belli, buoni e bravi, ma guarda un po’ gli italiani sono trafficoni, mafiosi e pure ignoranti. Fine della raffinatissima analisi di una sconfitta elettorale. Gli italiani evidentemente, quando l’anno scorso hanno creduto alle balle di Grillo innalzandolo agli altari di un successo imprevisto, erano onesti, leali e leggevano di tutto di più, da Schwob a Céline, da Pollesch ai tanti Roth, da Tacito al Mahabaratha.

Ma poi il buon Fo si acutizza improvvisamente: “Il secondo errore discende direttamente dal primo: se vuoi riformare l’Italia devi seguire una strategia dei piccoli passi. Devi capire di volta in volta su quali punti c’è una sufficiente convergenza di interessi. Devi allenarti a distinguere ciò che è giusto in teoria ma non praticabile da quel che si può ottenere subito. E devi concentrarti sugli obiettivi possibili”.

Santo cielo, ma tutto ciò è davvero sorprendente! Chi avrebbe mai immaginato che la politica si fa per “piccoli passi”, distinguendo il possibile dall’utopistico, trovando convergenze di interessi con altri, non essendo mai e poi mai raggiungibile quel 51% e più dei tanti, invidiatissimi, regimi bulgari dei bei tempi andati.

Il consiglio è sensato: “Allenatevi a distinguere (...) perché, è triste ma è così, la politica non è l’arte delle azioni perfette, è l’arte del possibile”.

Magari a distinguere che fare audience manipolando il cancello di Auschwitz per propri fini elettorali non è una mossa molto furba (oltre che essere eticamente ributtante). Magari a capire che dare della "vecchia puttana" a Rita Levi Montalcini è una frase che fa francamente schifo. Magari a ipotizzare che andare da Mentana a dire che "andremo in Europa a dire che il debito pubblico non lo pagheremo perché immorale" non è esattamente una frase tranquillizzante per chi pensa che gli investitori internazionali poi si inquietano e un mese dopo lo Stato non ha i soldi per pagare le pensioni e gli stipendi.

Magari, il problema non è che ci sono "troppi pensionati mentali" ma piuttosto un eccesso di frasi demenziali.

Non ci crederete, ma all’alba del 2014 Jacopo Fo ha scoperto il sistema democratico: l'arte del possibile. Dove non si governa con la maggioranza assoluta alla faccia di tutti gli altri, e dove un uomo solo al comando non è pensabile. Né nella versione “oltre Hitler” né nella versione “Lìder Maximo”.

E mentre Fo auspica di poter contribuire a “portare l’Italia a un livello austriaco di legalità ed efficienza” (magari senza i baffetti dell’austriaco più famoso della storia dopo Mozart), veniamo informati che il figlio di Casaleggio verrà affiancato a Beppe Grillo.

Una via di mezzo tra una scorta, un coadiuvante e un infermiere. Vedremo.

 


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