M - Il mostro è nella cultura

par Gian Carlo Zanon
giovedì 2 settembre 2010

Una parte di uomini della cultura sono, e sono sempre stati, dalla parte dei pedofili, quindi complici della violenza sui minori.

Il 7 di maggio 2010 all’Università degli studi G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, si è svolta una preziosa lezione che aveva per tema la pedofilia. Alla lezione sono intervenuti: il Prof. Andrea Masini-psichiatra, la Prof.ssa Annamaria Zulli-psicologa, Federico Tulli-giornalista, Francesco Dall’Olio-magistrato, Clementina Ruggeri-avvocato.


Il tema, molto delicato, soprattutto dopo lo scandalo dei preti pedofili, ormai scomparso solo dalle pagine dei giornali, è stato scandagliato da tutti i punti di vista in modo interdisciplinare. Dai docenti, che si sono avvicendati, sono uscite conoscenze importati e sconcertanti. Dal punto di vista psichiatrico è stato affermato più volte che il crimine di pedofilia devasta la psiche del bambino spesso in modo irreparabile tanto da farne a sua volta un criminale pedofilo. Uno di questi è Luigi Chiatti, il Mostro di Foligno: lui stesso aveva lasciato vicino al primo bambino violentato ed ucciso un biglietto farneticante scritto con il normografo firmandosi “il mostro”: «Aiuto! Aiutatemi per favore. Il 4 ottobre ho commesso un omicidio. Sono pentito ora anche se non mi fermerò qui. (… )PS.: non cercate le impronte sul foglio, non sono stupido fino a questo punto. Ho usato dei guanti. Saluti, al prossimo omicidio”.»

Sconvolgenti sono le affinità tra questo fatto di cronaca e il film M - Il mostro di Düsseldorf , del 1931, diretto da Fritz Lang. Il protagonista, Hans Beckert, pedofilo e assassino seriale, nella famosa deposizione davanti al tribunale popolare, composto dalla criminalità locale e dalle madri delle bambine uccise, si accusa dei crimini dicendo che è una voce che gli comanda di uccidere: «Che cos’è che sento urlare dentro al mio cervello? E come uccido: non voglio! Devo! Non voglio! Devo! E poi sento urlare una voce, e io non la posso sentire! ( …) Soltanto quando uccido, solo allora... (la voce si placa n.d.r.). E poi non mi ricordo più nulla.»

Nel dibattito che è seguito alla lezione di Chieti è emerso chiaramente la dinamica psichica coattiva che “obbliga” il pedofilo alla violenza sui minori ancora fisicamente e psichicamente non atti al rapporto sessuale. Il pedofilo è un “serial killer” ha affermato il Giudice Dall’Olio confortato dall’esperienza sul campo dello psichiatra Andrea Masini, quindi, un malato di mente grave e pericoloso che, se non arriva ad uccidere fisicamente, “uccide psichicamente”.

Il 28 dicembre 1994 Luigi Chiatti viene condannato a due ergastoli. Ma la vicenda non è conclusa: l’11 aprile 1996 la corte d’Assise d’’Appello di Perugia riforma la sentenza di primo grado, lo ritiene seminfermo di mente e lo condanna a 30 anni di reclusione. Determinante si rivelerà la testimonianza di un giovane che aveva trascorso diversi anni in brefotrofio con Chiatti il quale racconterà di violenze sessuali subite da entrambi da parte di un prete.

Inoltre ciò che è venuto sorprendentemente alla luce durante la lezione è da far tremare i polsi: una certa parte di uomini della cultura sono, e sono sempre stati, se non dichiaratamente pedofili come i filosofi greci, da Socrate in poi, dalla parte dei pedofili, quindi complici della violenza sui minori. Si va dalle velate e “veniali” affermazioni di un filosofo tanto acclamato come Umberto Galimberti che svogliatamente chiama la perversione che devasta i bambini “attrazione erotica verso i bambini”, svuotando in questo modo di senso la tragedia della pedofilia, alle reiterate affermazioni di Michel Foucault, il ”grande filosofo” francese, il quale sosteneva che il bambino è un seduttore che cerca il rapporto sessuale con l’adulto e che quindi ha tutto il diritto di fare l’amore con gli adulti. Anche Nichi Vendola, l’attuale Governatore della Regione Puglia, in un’intervista di Stefano Malatesta apparsa sul quotidiano La Repubblica il 19 maggio 1985 affermava senza ombra di dubbio: «Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti … ». Ora Vendola è in lizza per dirigere la sinistra alle prossime elezione, qualcuno potrebbe chiedergli se la pensa ancora così o se erano state le cattive letture e le cattive compagnie a suggerirgli questa frase che, ora, è un’apologia di reato. Se la pensa ancora così potrebbe dare una mano ai camerati del Pdl e della Lega i quali zitti zitti, nel disegno di legge sulle intercettazioni avevano infilato l’emendamento 1.707, quello che introduceva il termine di "Violenza sessuale di lieve entità" nei confronti di minori.

Certo che di cattive compagnie ce ne sono state molte tra i “maestri del pensiero”. Primo fra tutti Freud il “grande pensatore” ancora osannato sulle pagine dei giornali nonostante la demolizione operata da una parte della cultura francese dopo vari opere - l’ultima bordata è di Michel Onfray - che denunciano il suo non-pensiero, che, tra le altre nefandezze, lo portava a scrivere a Mussolini definendolo: “un’eroe della cultura“. Ma c’è anche una parte della cultura francese che ha alzato gli scudi per difendere sia Freud sia il ministro della cultura Frederic Mitterrand che nel suo libro autobiografico ’La Mauvaise Vie’, narrava i suoi rapporti pedofili, facendo un’apologia del turismo sessuale e affermando che forse «sono relazioni sbagliate ma non crimini.»

Sigmund Freud è uno dei principali colpevoli di questa ambivalenza, che tanto ha corrotto il pensiero culturale, nei confronti del crimine di pedofilia. Il “cosiddetto scopritore dell’inconscio” ripropone la credenza religiosa del peccato originale, definendo il bambino un “polimorfo perverso”. Per Freud tutti i bambini sono geneticamente perversi, e inoltre, scrisse di “seduzione infantile” verso gli adulti e affermò che il bambino molto spesso fantasticava la violenza o la manipolazione subita, favorendo, in questo modo, l’impunibilità dei pedofili e togliendo al bambino la verità, prezioso strumento di cura dal trauma psichico subito.

In questa brutta storia sulla violenza ai minori che da sempre avvelena la cultura vi sono molti complici. Nell’ottobre 2009 un articolo di Mario Gamba, sul quotidiano L’Altro, strillava in prima pagina:”Roman Polanski, per favore non chiamatela pedofilia”; l’articolo giustificava la violenza del regista, il quale stuprò una ragazzina di tredici anni, e difendeva il sesso con i minori. Il 6 ottobre, il quotidiano Terra, pubblicò la presa di distanza di molti politici e intellettuali di sinistra, compreso Nichi Vendola, bloccando sul nascere la legittimazione alla pedofilia.

Legittimazione che invece corse sui giornali, invisibile ai più, nel 2005 per le celebrazioni culturali del trentennale dalla morte di Pasolini. Adriano Sofri, La Repubblica, venerdì 21 ottobre 2005, citava Pasolini il quale affermò: “Io, come il dott. Hide, ho un’altra vita” . Pasolini sbagliò la citazione, era il dott. Jekyll lo scienziato buono che cercava di fermare la cattiveria degli esseri umani; era mister Hide il suo doppio cattivo che faceva del male, soprattutto alle donne. Infatti sul supplemento Queer di Liberazione, di domenica 16 ottobre 2005, in un articolo di Renzo Paris, viene accennato dei ricoveri di Pasolini in strutture psichiatriche per sdoppiamento di personalità: dott. Jekyll faceva l’intellettuale acclamato, mister Hide sfruttava sessualmente i ragazzi di vita spesso minorenni come, poi lo vedremo, raccontano i suoi compagni di merenda sui giornali senza rendersi conto di ciò che dicono.

Ma Pasolini chi era? Cosa faceva agli esseri umani? Sempre nello stesso articolo, altra citazione di Pasolini che scriveva: “Non c’è disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima”. Aveva imparato bene la lezione di Freud il quale, come affermato nella lezione di Chieti, scriveva che la maggior parte degli stupri raccontati dai bambini non erano altro che loro fantasie e che comunque erano loro stessi a suscitare perversioni pedofile negli adulti.

Sempre sullo stesso giornale, Antonio Gnoli intervista Alberto Arbasino su Pasolini. Arbasino: “In quegli anni non c’erano termini che designassero omosessualità o pedofilia. (…) Allora non esisteva il nome e dunque non esisteva neppure la cosa”. Dunque, secondo Arbasino, se non esiste la parola pedofilia – e non è vero, dato che la parola esiste da almeno tremila anni - non esiste il fatto che un minorenne violentato da un adulto sia un individuo rovinato psichicamente, forse per sempre?

Più avanti sempre Arbasino: “Pier Paolo amava i minorenni, un’inclinazione che oggi sarebbe oggetto di una riprovazione assoluta”. Un inclinazione, che, dice Arbasino, oggi, solo oggi, “sarebbe oggetto di una riprovazione assoluta”. Trenta e quarant’anni fa non era un crimine? Oggi, finalmente, questa che, con un eufemismo, Arbasino chiama “inclinazione”, si chiama invece “crimine di pedofilia” e viene perseguito duramente; con le nuove leggi Pasolini, non solo sarebbe stato espulso dall’insegnamento e dal PCI, come è accaduto allora, ma sarebbe andato in galera per una decina d’anni. E c’è voluto il mostro di Marcinelle per fare leggi più severe. Quindi, secondo Arbasino, questo “eroe della cultura italiana” una violenza sessuale su un minore che, per chi non lo avesse ancora capito, vuol dire violentare fisicamente e psichicamente un bambino o una bambina, ora sarebbe oggetto di riprovazione assoluta ma invece trent’anni fa non lo era?

Pazzesco, vero, “eppure Arbasino è un uomo d’onore” direbbe Antonio, il retore, cercando di convincerci che le violenze sui bambini, come dice il Ministro della Cultura francese « forse sono relazioni sbagliate ma non crimini.»


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