Lo scontro Renzi Marchionne: la sagra degli errori

par Camillo Pignata
sabato 13 ottobre 2012

Durante la trattativa Fiat/sindacati per Pomigliano, Renzi dichiarò la sua totale ed incondizionata fiducia in Marchionne e nel suo impegno per la realizzazione di venti miliardi di investimenti. Dopo il disimpegno Fiat, dopo che sono emerse le ragioni del bluff della Fiat, il sindaco di Firenze conferma di non aver sbagliato.

Ma come si fa ad accordare la fiducia ad un’impresa senza aver visto le carte che illustrano l’investimento promesso? Ma come si fa a non ammettere i propri errori, quando l’investimento promesso non vien realizzato? E’ ingenuità o pregiudiziale ideologica?

In questo scontro tra Renzi e Marchionne è inutile soffermarsi sulle parole di Marchionne, che nulla aggiungono alla comprensione del disimpegno Fiat, e alle ragioni dell’inosservanza di un accordo. “Renzi guida una piccola e povera città”, dice Marchionne. Sono le parole di un uomo offeso, più che parole di un imprenditore, non difende le ragioni di una scelta gestionale, ma reagisce all’offesa del sindaco di Firenze.

Per Renzi il discorso è diverso, la sua accusa è un’accusa politica, di un uomo politico. Questi a suo tempo appoggiò Marchionne senza se e senza ma. A Giannini, che gli ricorda questo particolare chiedendogli se ha cambiato idea, il sindaco risponde: ”Non sono io che ho cambiato idea, è Marchionne che non ha rispettato gli impegni, è Marchionne che ha ingannato i lavoratori”.

In questa frase è racchiusa tutta l'ingenuità politica, e la pregiudiziale ideologica dell’uomo della destra berlusconiana, ed è la rappresentazione della sua capacità di governo di tematiche extracittadine. Il disinvestimento Fiat è una medaglia a due facce .Ci sono errori della Fiat, ma anche errori della politica. C’è un accordo non rispettato, c’è una fiducia cieca di taluni politici, tra questi Renzi, nell’impegno Fiat.

Ma c’era da sostenere la CISL e l’ala moderata del PD, impegnati ad appoggiare la Fiat e a contrastare la CGIL, non si poteva dare ascolto a quei comunisti brutti e cattivi della FIOM, che chiedevano a Marchionne i piani di investimento.

Ma neppure c’è spazio per qualche autocritica, la politica spettacolo di marca berlusconiana, quella impegnata a costruire consensi più che risposte per il Paese, non lo consente. Un'ammissione di colpa renderebbe Renzi un prodotto inaffidabile. E allora addio consensi. Ma alla pregiudiziale ideologica si accompagnano alcune ingenuità politiche. Renzi ha sbagliato allora quando ha appoggiato Marchionne, e sbaglia oggi quando non ammette i propri errori.

Le valutazioni positive sull’impegno e poi sul suo disimpegno Fiat possono derivare solo da un’analisi della politica industriale dell’azienda. Si ha fiducia negli impegni di un azienda perche si valutano positivamente le sue strategie, e non per la fede nei suoi dirigenti. E se la Fiat non ha esibito i piani industriali è stato errore della politica non averli richiesti, e aver dato un giudizio positivo senza conoscerle.

E allora prima di parlare di fiducia disattesa è il caso di chiedersi se era giusto concedere una fiducia alla cieca, senza pezze di appoggio. Prima di parlare degli inganni di Marchionne, è forse giusto parlare degli errori della politica.

La dichiarazione di fiducia a Marchionne senza se e senza è una via senza ritorno, che lega l’affidabilità dell’uomo politico all’affidabilità di un manager, alle sue bizzarrie, ma anche alle sue giustificate modifiche gestionali. E tutto ciò è estremamente azzardato, specie se questa dichiarazione accentua uno scontro all’interno del partito e tra i sindacati.

Ammettere questi errori è doveroso per un uomo politico specialmente se ha la pretesa di rottamare la vecchia politica che ha vissuto e prosperato sulla violazione di questa regola. E tale ammissione non solo è un atto giusto che conferisce affidabilità a chi lo fa, ma è anche un atto politico che può favorire la coesione all’interno del partito democratico e dei sindacati.

Peraltro il tema Fiat poteva essere l’occasione per accennare a qualche ipotesi di soluzione per fronteggiare questo disinvestimento, e più in generale del ruolo del settore auto e della mobilità in Italia. Ma il buon Renzi tace. Forse perché questo è un problema che va al di là della mobilità cittadina?

E allora succede che alla fine della storia restino sempre in piedi l’interrogativo e i dubbi che accompagnano le primarie di Renzi: può un uomo politico siffatto, che opera tra pregiudiziali ideologiche ed ingenuità politiche, fare il presidente del consiglio?


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