Libia: vi ricordate che siamo in guerra?

par Mazzetta
domenica 14 agosto 2011

I nostri aerei continuano a bombardare la Libia insieme agli alleati, ma la Libia è sparita da giornali e televisioni. Si parla di crisi e i telegiornali sono pieni di servizi sul meteo, sulle code in autostrada e sui cani abbandonati, ma nessuno trova nemmeno un piccolo spazio per discutere della guerra in Libia, che prosegue a prescindere dall'attenzione che le dedicano i nostri media.

Sul campo la situazione non sembra però evolvere come auspicato. Alle notizie relative a vittorie militari dei ribelli si contrappongono quelle che vedono gli stessi ribelli in crisi e responsabili di diverse stragi di civili. Dopo l'eliminazione del comandante militare, il generale Younes, accusato di essere un traditore in combutta con Gheddafi, i ribelli sono sempre più divisi, tanto che hanno sciolto il Consiglio Nazionale Transitorio e nominato un nuovo governo, dicono loro "per ripartire con un nuovo spirito".

I sei mesi dall'inizio della ribellione sembrano trascorsi inutilmente ed essere serviti solo a smorzare l'entusistico attivismo di Sarkozy, che nei suoi discorsi pubblici ormai si dimentica opportunamente della Libia e della guerra che ha fortemente voluto. Non è servito a molto il riconoscimento da parte occidentale del nuovo governo e nemmeno sono serviti i generosi finanziamenti e le consegne di armi in violazione dell'embargo aulle armi dell'ONU, contenuto nella stessa risoluzione che autorizzava la nuova coalizione di volenterosi a difendere i civili dalle ire del dittatore libico. Risoluzione peraltro subito violata interpretando il mandato in senso molto più estensivo, fino ai bombardamenti a caccia di Gheddafi e quelli sugli uffici governativi e la televisione di stato. Anche il divieto alla presenza di truppe straniere sul campo è stato violato senza troppi problemi, senza peraltro riuscire a demotivare il regime o a conseguire risultati significativi.

I ribelli poi si sono dati a feroci rappresaglie sui civili, provocando una spaccatura nell'opposizione a Gheddafi e il suo rafforzamento, visto che in molti libici cresce il timore che la cacciata del leader si tramuti in una carneficina di quanti gli erano vicini e visto che molte tribù e città ora guardano con occhi diversi alla ribellione, che ormai moralmente appare a tutti, anche agli osservatori occidentali, molto simile al regime che dici di voler abbattere perché oppressivo e sanguinario.

Nel paese circolano molte milizie armate, che in nome della rivoluzione fanno un po' come gli pare e spesso fanno malissimo, mentre i diffusi proclami di vendetta fanno temere il peggio. In un paese che ha vissuto oltre quarant'anni di dittatura chiunque è virtualmente esposto all'accusa di aver collaborato con il regime. Sullo sfondo procede stancamente l'unica trattativa tra il regime e i ribelli, quella imbastita dall'Unione Africana, che prevede una cessazione delle ostilità e un'evoluzione verso un sistema politico aperto attraverso un accordo tra le due parti, al quale non dovrebbero prendere parte Gheddafi e la sua famiglia.

Pare che l'idea, un tempo osteggiatissima, cominci a farsi largo tra le fila dei ribelli, che all'entusiasmo e alle certezze iniziali hanno oggi sostituito dubbi e timori sul futuro del paese e della loro avventura. Nel nostro paese c'è poco interesse per come sta andando e per come andrà a finire, se ne riparlerà solo se e quando arriveranno nuove ondate di profughi , per ora nel silenzio dei media e dei partiti, parlano solo le nostre bombe.


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