Libertà in vendita
par Damiano Mazzotti
giovedì 29 luglio 2010
âLibertà in venditaâ (Laterza, 2010) è una piacevole e ricca trattazione sulla libertà e sulla democrazia che merita una piccola premessa: forse âChi è disposto a rinunciare a una libertà fondamentale per acquisire un poâ di sicurezza temporanea non merita né libertà né sicurezzaâ (Benjamin Franklin, 1755).
L’autore è l’avventuroso giornalista inglese John Kampfner, che espone una tesi molto definita: “La nostra libertà è guadagnare soldi, tenerseli e consumarli. Tutte le altre libertà sono state asservite a questo scopo”. Quindi il libro non parla dei regimi tirannici che governano con la canna del fucile, ma prende in esame Paesi come Singapore (il paradiso dei consumatori, dei test d’intelligenza e degli esperimenti sociali), Cina (il regime del capitalismo politicizzato), Russia (lo stato ipercentralizzato), Emirati Arabi Uniti (il regno del denaro), India (la democrazia più popolosa e multiculturale con uno spietato sistema di caste) e Italia (la democrazia di cartapesta che gode delle rendite di un museo a cielo aperto). Infatti in una vera democrazia esiste lo Stato di diritto, le elezioni sono completamente libere e regolari, ed esiste la piena libertà di parola e di espressione.
Dopotutto pochi cittadini sono disposti a rinunciare alle soddisfazioni delle vita quotidiana per impegnarsi a sfidare le diverse strutture del potere e si rinuncia alla libertà per la materialità: “Questo è il patto. Ogni paese ha la sua versione. I cittadini rinunciano a libertà differenti, a seconda delle proprie tradizioni e priorità: in alcuni Stati si rinuncia alla libertà di stampa, in altri al diritto di cambiare governo [o i politici come in Italia] attraverso il voto popolare, in altri ancora a una magistratura imparziale, in altri infine alla possibilità di fare la propria vita senza essere spiati; in molti si tratta di una combinazione di questi e di altri ancora” (p. 8). In molti casi “Uno degli errori che commettono le organizzazioni dei diritti civili è quello di concentrarsi sullo Stato. Pensare che la società civile sia innocente e che lo Stato sia tirannico significa travisare la realtà” (Corey Robin, docente di Scienze Politiche al Brooklyn College di New York).
Kampfer si concentra sulla figura dei cittadini e considera la scelta degli uomini politici come collaterale allo stato di salute della società civile. Purtroppo in ogni paese i rappresentanti della classe media o “i cittadini sono conniventi, tanto nei regimi autoritari quanto in quelli democratici, ma in Occidente in misura maggiore, perché potevano scegliere di pretendere di più dai propri governi, di rinegoziare il patto perché ci fosse più equilibrio tra libertà, sicurezze e prosperità”. Sull’Italia afferma: “Berlusconi non è spuntato dal nulla. Il malessere non si incarna in un solo uomo. Lui è il sintomo di quel malessere, non la causa. Liberarsi di lui non vuol dire liberarsi automaticamente del problema” (viene riservato molto spazio alla discussione delle intricate vicende italiane). E potremmo aggiungere che a tutti “coloro che rimangono aggrappati al potere sfruttando la corruzione e l’inganno e mettendo a tacere il dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata della storia” (Barack Obama, discorso di insediamento alla Casa Bianca).
Tra i vari paesi merita di essere approfondito il caso della Città-Stato Singapore, che è stata anche definita come “Disneyland con la pena di morte” (William Gibson, scrittore). Infatti il sistema di delazione capillare e lo stato di polizia inflessibile non lascia scampo agli spacciatori di droga e a tutti gli altri criminali. Purtroppo però viene colpita duramente anche la libertà di espressione e pure la libertà sessuale: non è consentito il sesso orale e anale, quello omosessuale e nemmeno quello extraconiugale e prematrimoniale. Del resto è vero che il modo di fare politica occidentale ha dei grandi limiti: “gli interminabili dibattiti di rado toccano il nocciolo della questione… si passa tutto il tempo a occuparsi di questa politica dei partiti. Il risultato è che rimane poco tempo per preoccuparsi del futuro a lungo termine” (Lee Kuan Yew, fondatore di Singapore).
Ma nella vita non si può avere tutto: “L’innovazione e la creatività non sono, per definizione, né ordinate né regolate. Singapore ha davanti un futuro di crescita e prosperità, ma trovare il giusto equilibrio esigerà grande abilità, e probabilmente l’accettazione di qualche rischio” (Juan José Daboub, direttore della Banca Mondiale, maggio 2008). Però in parte è vero che “è il fatto di comprendere i limiti che rende possibile la libertà. È impossibile raggiungere il bene maggiore senza imporre una qualche restrizione al all’individualismo. La debolezza del liberalismo è il rifiuto di pagare il costo dell’appartenenza” (Chua Beng Huat, sociologo di Singapore). Indubbiamente il principale merito dei governanti di Singapore è quello di allevare i talenti fin da bambini. Un importante funzionario ha affermato: “Perché i brasiliani sono i migliori a calcio? Perché vanno a cercare nelle favelas i talenti di sei anni. Noi facciamo lo stesso con lo Stato… Noi assorbiamo il dissenso. La cosa più stupida che si possa fare è reprimerlo. Nessun cervello va sprecato… Non è solo la ricchezza che abbiamo creato, è anche la nostra capacità di prenderci cura di quelli che stanno in fondo alla scala sociale” (Kishore Mahbubani, preside della Lee Kuan Yew School of Public Policy della National University, p. 32).
Nel pregevole e difficile tentativo di comprendere ogni cultura politica nazionale, Kampfner descrive tre forme principali di libertà: pubbliche (libertà di scegliere i candidati politici, libertà di stampa, ecc.), private (libertà sessuali, libertà di impresa, ecc.) e civili (libertà di associazione, libertà di opinione, ecc.). In molti paesi sono in diminuzione le liberta pubbliche e vengono ampliate solo le libertà private che aumentano il narcisismo e quindi diminuiscono il senso comunitario e diffondono nuove forme di asocialità. C’è maggiore disaffezione politica e cala l’affluenza alle urne e il tesseramento ai partiti. E aumenta la perdita di fiducia nelle istituzioni democratiche e nella classe politica in generale” (Paul Ginsborg, La democrazia che non c’è, 2006).
Comunque le forme di democrazie rappresentativa sono aumentate nell’ultima generazione: “Nel 2000, 120 dei 192 Stati-nazione dell’Onu potevano essere definiti, in senso ampio, democratici” (p. 6). Però è anche vero che la maggior parte delle democrazie si sono trasformate sempre di più in grandi oligarchie formate dai burocrati della politica e dagli avvocati delle multinazionali, perciò Kampfner è “costretto” a considerare anche le vicissitudini del Regno Unito e degli USA.
Infatti gli Stati centralisti più abili, garantiscono “al dissenso una serie di valvole di sfogo – l’arte, magari, o quotidiani con tiratura scarsa – limitate ma visibili, mantenendo salda la presa, al tempo spesso sul pubblico di massa. Il suo compito più importante era cooptare sia gli interessi costituiti, in particolare le imprese, sia nazionali e internazionali”. A loro volta paesi più intelligenti e progrediti curano anche gli interessi della classe media. Ma le droghe del consumismo, dello sport, dello spettacolo e dei videogiochi hanno corroso il sentimento morale dei cittadini: “In qualunque sistema ci troviamo a vivere, le nostre priorità sono più simili di quanto ci piaccia ammettere”.
Del resto anche Freud affermò che l’uomo è portato a contraccambiare la propria libertà in cambio dello sicurezza. Però è difficile da comprendere perché sempre più persone sono disposte a vendere la propria libertà in cambio di questo capitalismo dell’incertezza. A meno che non prendiamo in esame l’ipotesi del lavaggio del cervello mediatico. Forse la certezza di essere dei consumatori meno danarosi e dei servi irreggimentati e sfruttati è sempre meglio di niente. E se di solito per essere dei consumatori bisogna anche essere dei lavoratori, perché allora tutti quei giovani che non riescono a diventare dei veri lavoratori continuano ad accettare tutto questo?
John Kampfner è nato a Singapore ed è un famoso e navigato commentatore politico inglese che ha vinto numerosi premi. Ha diretto la rivista “New Statesman” (www.newstatesman.com) e attualmente dirige “Index on Censorship” (www.indexoncensorship.org), una delle maggiori organizzazioni mondiali per la libertà di espressione. La vera cronistoria filmata e documentata della “liberazione” della soldatessa americana Jessica Lynch durante la guerra in Iraq è stato uno dei suoi maggiori scoop (la pubblicazione è stata curata dalla Bbc e dal ”Guardian”). Ha scritto un libro di successo sulla politica estera di Blair: “Blair’s Wars”.
Nota sulla libertà: “L’unico motivo per cui il potere può essere legittimamente esercitato su qualsiasi membro della comunità civilizzata, contro la sua volontà. È quello di prevenire un danno agli altri. Il bene dell’individuo, sia fisico sia morale, non costituisce una giustificazione sufficiente dell’interferenza” (John Stuart Mill, On Liberty, 1859). E “Bisogna distinguere tra due libertà perdute: quelle a cui la gente sa di aver rinunciato e quelle a cui la gente non sa di aver rinunciato” (Michael Kazin).
Appendice – Siti incentrati sul monitoraggio dei sistemi politici e delle libertà civili.
1) www.votewatch.eu, analizza l’attività politica dei candidati europei;
2) www.opendemocrazy.net, segue l’evoluzione dei diversi sistemi politici internazionali;
3) www.freedomhouse.org, valuta le democrazie e le libertà economiche, politiche e civili;
4) www.csmonitor.com, pubblica articoli di politica, economia, ecologia, scienza e cultura;
5) www.rsf.org, sito di giornalismo internazionale che si occupa di politica e libertà di stampa;
6) www.rfkennedyeurope.org, fondazione che difende la libertà di parola e i diritti umani.
7) www.ipsnotizie.it, sito di giornalismo internazionale multilingue, anche extraeuropee.
8) www.civicus.org, Assemblea Mondiale dell’Alleanza dei Cittadini, Montréal, 20-23 agosto.
9) www.euroalter.com, sito dedicato alla cultura giovanile transnazionale.
10) www.openpolis.it, analizza l’attività e l’inattività dei parlamentari italiani. Naturalmente se c’è qualcuno che ha voglia di perdere tempo. E il tempo è la sostanza della vita.