Libera (e brutta) TV in libero Stato
par Marco Giarratana
lunedì 15 novembre 2010
Devo ammetterlo. Combatto contro un moto istintivo di fastidio, ma, per quel briciolo di onestà che tutti dobbiamo conservare, devo ammetterlo. Stavolta ha ragione Marco Travaglio. Ha ragione, Travaglio, quando, dalle colonne del Fatto quotidiano, esorta Roberto Saviano a non farsi assoldare dal più trito e stucchevole antiberlusconismo.
Nella prima puntata di Vieni via con me, il brillante e documentato autore di Gomorra si è trasformato in uno scolaretto che ha condotto un compitino retorico e dai collegamenti improbabili. La sua tirata sulla macchina del fango (fango oggi scagliato solo da destra a sinistra, ça va sans dire) incastonava un ricordo di Giovanni Falcone per poi affermare, come se questa fosse l’unica conclusione possibile, o almeno la più logica, che “il governo è già caduto; ma si ha paura di fare un passo avanti, perché si ha paura di diventare bersaglio della mafia di Stato”. Insomma, ecco il Saviano-pensiero: essere riconoscenti a Falcone significa essere contro questo governo; chi non lo è, ha paura della mafia.
Se Saviano è stato il punto più basso di Vieni via con me, all’estremo opposto troviamo Roberto Benigni. Al quale volentieri perdoniamo tutto per la bravura, per la genialità, per il tono stesso, che è quello del comico; schierato, sì, ma grande uomo di spettacolo, che con intelligenza strappa risate intelligenti anche quando afferma l’esatto opposto della realtà: “È mia anche la Corte costituzionale”, cantava l’altra sera nei panni di Berlusconi. Già, proprio quella Corte costituzionale che un anno fa ha bocciato il lodo Alfano.
In mezzo ai due opposti, Fabio Fazio ha gettato via la maschera untuosa di Che tempo che fa per partecipare al gran ballo della demagogia. Ecco allora che “me ne vado perché a Milano mandano via i bambini rom dagli asili”, senza alcun cenno alla legislazione europea sull’immigrazione, né al fatto che in tanti nostri asili si vieta la festa di Natale per non “offendere” i bambini musulmani. Ed ecco che “nell’antica Pompei certe prostitute andavano coi politici, ma non cadevano loro le case in testa”, come a voler istituire un rapporto di causa-effetto quanto più stretto possibile fra la (deplorevole) vita privata di Berlusconi e la (vergognosa) incuria nella quale versa, da decenni, il nostro patrimonio artistico.
Proprio una foto delle rovine di Pompei faceva poi da sfondo al grande direttore d’orchestra Claudio Abbado, il quale ci spiegava perché sono sbagliati i tagli alla cultura. Il messaggio, ancora una volta, era chiaro: se Pompei crolla, la colpa è solo e soltanto di questo governo; si sa, fino al 2008 gli esecutivi di sinistra hanno profuso ogni sforzo perché ciò non avvenisse. Ma qui la questione si fa seria, e sinceramente dolorosa. In tempi di vacche magre, ogni governo ha fatto la propria scelta. Francia e Spagna hanno (meritoriamente) investito in cultura e (purtroppo) tagliato gli stipendi pubblici; che cosa sarebbe successo in Italia se Tremonti avesse fatto lo stesso, anziché limitarsi alla (pur grave) decisione di congelare gli scatti di anzianità ai dipendenti pubblici? Semplice: Fazio avrebbe invitato un impiegato delle Poste a recitare un altro elenco.
Ma la domanda con cui vorrei concludere è un’altra: qualcuno vorrà ancora affermare che nell’Italia di Berlusconi non vi sia libertà di esprimersi in TV?