Lettera aperta al Presidente degli Stati Uniti Barack Obama
par Grazia Gaspari
mercoledì 13 maggio 2009
“Ero straniero e non mi avete accolto… ero nudo e non mi avete vestito...” (Mt.25, 31 – 46).
Gentile Presidente,
Gentile Presidente,
sono padre Claudio Crimi, un missionario cattolico comboniano. Ho lavorato in Africa, in Mozambico per 30 anni. Ora sono a Roma (via del Buon Consiglio 19) dove dirigo l’ACSE, un’associazione comboniana di accoglienza e sostegno agli immigrati e ai profughi. Il mio cuore tuttavia è sempre rivolto al Mozambico dove ho passato la gran parte della mia vita e dove ho toccato con mano le tante difficoltà di questo pur meraviglioso continente: miseria, malattie, guerre, ignoranza, sottosviluppo.
L’Italia è il paese che per collocazione geografica è più esposto assieme alla Spagna, ai flussi migratori. Finora ci siamo barcamenati tra accoglienza ed espulsioni. Ora però il governo italiano ha optato per la linea dura: il respingimento dei barconi di clandestini, uomini, donne, bambini che mossi dalle guerre, dalle carestie e dall’ingordigia delle classe dirigenti dei loro paesi, abbandonano i villaggi alla ricerca di un’alternativa di vita. Hanno un sogno semplice: un lavoro, la salute, magari un’istruzione per sé e per i loro figli.
Nel giro di 3 giorni sono stati rispediti in Libia 500 immigrati. Nel giro di un mese quanti saranno? Ed in un anno?
E’ ovvio che non possiamo essere noi italiani da soli a risolvere il problema, ma è anche vero che la politica dello struzzo, che l’Unione Europea sta cercando di attuare, è un suicidio collettivo! L’egoismo unito alla cupidigia, alla lunga non pagano e generano solo sofferenza e morte.
Bisogna aumentare la collaborazione con i paesi poveri per aiutarli a uscire dal pozzo in cui si trovano. Ma per cominciare dobbiamo debellare la peste che si chiama “il fine giustifica i mezzi” che accompagna sempre la fretta di ottenere risultati. In Italia con l’intento di dare sicurezza al paese, fine buono, entreranno presto in vigore leggi restrittive e persecutorie, che sono mezzi illeciti e ingiusti, che dovrebbero colpire gli immigrati, ma che in realtà colpiranno tutti e che sono state aspramente giudicate anche dai vescovi italiani.
Il governo libico ha risposto con durezza alle critiche in particolare a quelle del Vaticano: “Se volete possiamo portare a piazza San Pietro tutti gli stranieri che le vostre navi hanno portato qui – ha detto il portavoce di Gheddafi - bisogna capire che la Libia da sola non ce la fa, queste persone scappano dalla fame, non dalla guerra. La coscienza dell’Europa deve svegliarsi perché noi proveremo a fermare chi affronta il mare per avere una vita migliore, però saremo costretti a fermarci se continueremo ad essere il luogo di transito di tutta l’Africa. E saremo costretti a sospendere i controlli delle frontiere verso l’esterno qualora ci rendessimo conto che il peso migratorio sta diventando troppo pesante”.
Dalle cronache dei respingimenti in mare, tra le tante cose toccanti e drammatiche, una mi ha colpito in particolare. Si riferiva ad un ragazzo di 17 anni diventato pazzo per le sevizie. “La sua colpa era quella di essere nero, di chiamarsi Abramo e di essere "israelita" – dice una parente - Quel ragazzo non ha più vita, gli hanno tolto anche l’anima. Preghiamo per lui. Non perché viva, ma perché muoia presto, perché, finalmente, possa trovare la pace".
Come uomo e come uomo di fede posso pregare perché trovi la pace, ma non perché muoia. Certamente dobbiamo invocare la giustizia di Dio sulle aberrazioni che l’essere umano commette contro il suo simile, soprattutto se più debole e indifeso, dobbiamo pregare contro gli abusi di potere e le ingiustizie che distruggono l’umanità. Sono grida che Dio non può lasciar cadere nell’indifferenza, saprà far trionfare la Sua giustizia.
Presidente, Lei per storia personale e per convinzione politica è un grande punto di riferimento per la gente umile, povera ed oppressa di tanta parte del mondo, soprattutto di quello sottosviluppato, che guarda a Lei come ad una speranza di redenzione e di riscatto: “Yes we can”. Credono e sperano.
Ora più che mai, la situazione degli africani è davvero tragica. Sfruttati da trafficanti di uomini, da governi corrotti, da carestie, dall’Aids, da guerre e dall’ignavia dei paesi occidentali, fanno di tutto per uscire dalla loro condizione. Se vogliamo fermare i flussi migratori, dobbiamo aiutare l’ Africa ad uscire dall’indigenza, dobbiamo creare in loco possibilità di lavoro e di vita. Il lungimirante motto del nostro fondatore Daniele Comboni, nonostante fosse vissuto due secoli fa era appunto: “Salvare l’Africa con l’Africa”. E’ urgente varare un piano multinazionale di assistenza al territorio africano che metta insieme governi, associazioni umanitarie, volontariato e tutte le persone che ancora hanno un cuore. Nel frattempo è possibile fermare i rimpatri forzati e istituire un gruppo di ispettori internazionali che controlli i centri di detenzione libici.
Nel viaggio che tra poco la vedrà in Egitto, porti la sua autorità morale e il suo potere per impegnare la comunità internazionale ad affrontare seriamente e una volta per tutte la tragedia del continente africano. Ascolti il grido di dolore che sale dai suoi fratelli, ed intervenga presto per alleviare le loro pene e per offrire loro un futuro degno di questo nome.
Fiducioso nel fatto che Lei ascolterà la mia supplica e quella delle persone che l’hanno firmata, La ringrazio e La saluto.
Claudio Crimi
Claudio Crimi
Le firme possono essere lasciate al nuovo sito dell’Acse.