Legge elettorale e democrazia

par Persio Flacco
venerdì 10 febbraio 2017

La mia prima intenzione a votare "no" al referendum del 4 dicembre scorso fu la sfiducia verso Renzi e la sua cerchia. E sarebbe stata comunque una scelta legittima poiché, come si usa dire: non si compra un'auto usata da un venditore di cui non ci si fida.

Tuttavia mi colpì la sproporzione tra il fortissimo impegno speso dai sostenitori della riforma e i suoi obiettivi dichiarati: il risparmio di qualche decina di milioni e la maggiore velocità nel legiferare (in un Paese in cui di leggi ce ne sono già troppe).
Mi chiesi se vi fossero altre ragioni per un tale dispendio di energie e questo mi spinse ad approfondire la materia, col risultato che le ragioni per votare "no" divennero travolgenti.

Lo ricordo perché le stesse ragioni che mi indussero ad un "no" convinto e circostanziato alla riforma Napolitano-Renzi-Boschi sono rimaste di assoluta rilevanza e attualità anche in relazione al dibattito di questi giorni sulla legge elettorale. 

Cerco di spiegarne i motivi articolando il ragionamento su quattro punti che pur riferendosi a principi ordinamentali della nostra architettura costituzionale non richiedono particolari tecnicismi:

1. separazione dei Poteri sovrani tra Legislativo, Esecutivo, Giudiziario
2. sovranità del Popolo nelle democrazie parlamentari
3. differenza tra Costituzione formale e costituzione materiale
4. libertà dei rappresentanti del Popolo dal vincolo di mandato

Come è noto l'architettura istituzionale delle moderne democrazie liberali si fonda sulla divisone dei poteri sovrani: Legislativo, Esecutivo, Giudiziario. Poteri indipendenti l'uno dall'altro, che si bilanciano, collaborano, interagiscono secondo modalità stabilite dalla Costituzione in modo che nessuno prevalga sull'altro e tutti assieme garantiscano la equilibrata gestione dello Stato. 
In particolare, la reciproca indipendenza tra Legislativo ed Esecutivo implica necessariamente la possibilità che questi due poteri si trovino in contrasto tra loro su particolari materie, senza che ciò comporti null'altro che un confronto dialettito e la ricerca di punti di mediazione. Come peraltro avviene normalmente negli Stati Uniti, spesso portati ad esempio come democrazia funzionante.

Nelle democrazie parlamentari l'organo che rappresenta la Sovranità popolare è il Parlamento, e ad esso compete di investire del potere Esecutivo il Governo votandogli la fiducia e di revocarglielo votando una specifica mozione di sfiducia. 

Vale la pena citare integralmente l'art.94 della Costituzione perché è di esemplare chiarezza.

- Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. -

L'intento dei Costituenti è chiarissimo: una volta ricevuta la fiducia delle due Camere il Governo assume per intero e senza condizioni il potere Esecutivo fino al termine del suo mandato. Salvo che lo stesso Parlamento non la revochi con una esplicita mozione di sfiducia votata nei modi e nei tempi stabiliti nello stesso articolo.

Per rafforzare il principio dell'indipendenza del potere Esecutivo dal Legislativo, e viceversa, il quarto comma dell'articolo 94 esclude esplicitamente che il voto contrario del Parlamento su una proposta del Governo possa giustificare le dimissioni di quest'ultimo.

E' una disposizione conseguente col principio generale della separazione dei poteri, perché è evidente che il voto contrario ad una specifica proposta del Governo non è, non può essere, equiparato ad un voto di sfiducia contro il Governo.

Se questo articolo fosse stato pienamente applicato nella forma e nella sostanza non vi sarebbero stati 63 governi in 70 anni di Repubblica. Ma questa è la Costituzione formale, la Costituzione materiale, quella derivante dalla prassi, è sostanzialmente diversa.

Nella Costituzione materiale vige il principio che il voto contrario del Parlamento su una proposta del Governo può comportare le dimissioni di quest'ultimo. Dimissioni che possono essere reclamate dai parlamentari che hanno bocciato la proposta oppure possono essere date dal Governo di sua iniziativa in risposta al voto contrario, a seconda delle convenienze politiche del momento.

Fonte di questo principio della Costituzione materiale, causa di continua instabilità dei governi e pretesto per tutte le alchimie elettorali, è l'istituto della "Questione di fiducia", inserito nei regolamenti parlamentari di Camera e Senato.

Grazie a tale artificio è stato aggirato l'art.94 della Costituzione e il Governo può ricattare il Parlamento minacciando le sue dimissioni, lo scioglimento delle Camere, il ricorso a nuove elezioni e la possibile esclusione dalle liste elettorali dei parlamentari facenti parte della maggioranza di governo che avessero votato contro la proposta.

E' del tutto evidente che nel caso di maggioranze formate da coalizioni composite e poco solide l'istituto della questione di fiducia mette in mano alle componenti minoritarie una formidabile arma di ricatto politico. Facendo venire meno la maggioranza su una proposta governativa sul quale è stata posta la fiducia possono far cadere il Governo e provocare nuove elezioni. Cosa avvenuta effettivamente piuttosto spesso in passato.

Dall'istituto della questione di fiducia, inserito nei regolamenti parlamentari ma escluso dalla Costituzione, deriva un principio secondario, anch'esso fonte di instabilità politica, secondo il quale il Governo deve avere la fiducia del Parlamento costantemente nel tempo. Cosa che oltre a comportare una ovvia incertezza nella continuità del Governo e della legislatura, nega di fatto il principio della separazione di poteri, obbligando Legislativo ed Esecutivo ad una conformità di visione che contrasta sia con la differente natura costitutiva dei due organi, con la diversità dei loro compiti, con la possibilità di istituire tra loro un confronto dialettico.
Ma soprattutto riduce il Parlamento che, ricordiamolo, è l'organo che rappresenta il Sovrano democratico, allo stesso livello del Governo.

Questo stato di cose implica effetti distorcenti anche su altri aspetti fondamentali dell'assetto istituzionale del Paese.

Uno di questi è la sovrapposizione del potere Esecutivo sul Legislativo. 
E' un fatto acclarato che negli ultimi 20-30 anni il Governo ha assunto quasi interamente la funzione legislativa. Dalle statistiche ufficiali risulta che dei provvedimenti discussi e votati in Parlamento la stragrande maggioranza sono elaborati e proposti dal Governo: non hanno origine parlamentare. L'esercizio del Potere Legislativo, di fatto, è stato avocato dal Governo e sottratto ai rappresentanti del Popolo.

E il Governo solitamente, salvo interludi "tecnici" promossi dal Capo dello Stato in particolari condizioni di necessità, è espresso dalle forze politiche di maggioranza, cioè dai Partiti. 
Ne consegue che, in sostanza, i poteri Esecutivo e Legislativo vanno a concentrarsi nelle mani dei capi dei partiti di maggioranza.
Un assetto istituzionale che in qualche modo ricorda quello dei regimi totalitari.

A loro volta i parlamentari, che secondo la Costituzione dovrebbero essere liberi dal vincolo di mandato, cioé liberi da qualsiasi condizionamento che non derivi dal loro libero convincimento, grazie a questo meccanismo sono irregimentati dalla disciplina di partito.
 
Questo è un punto di fondamentale importanza. I Costituenti hanno voluto garantire la piena libertà dei rappresentanti del Popolo, anche al prezzo di svincolarli dall'obbligo morale e politico della coerenza con gli impegni presi con i cittadini che li hanno eletti, purché non fossero posti sotto tutela da poteri esterni al Parlamento. 
La costituzione materiale invece, come abbiamo visto, va in direzione diametralmente opposta, deformando gravemente il quadro istituzionale e sottraendo ai cittadini consistenti quote di rappresentanza e di potere per attribuirle ai partiti. I quali partiti, da organizzazioni destinate a promuovere e organizzare la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, diventano veri e propri gestori del potere a scapito delle istituzioni: una funzione che non è loro propria e che contribuisce a creare uno Stato parallelo a quello costituzionalmente previsto, nel quale sono le istituzioni, e solo esse, a dover gestire la cosa pubblica.

Tutto ciò premesso è evidente che l'attuale dibattito sulla legge elettorale è affetto da un grave vizio di fondo. Non è con le alchimie elettoralistiche che si può garantire al Paese stabilità politica, democrazia, trasparenza; non è comprimendo il diritto di rappresentanza con soglie di sbarramento o deformandola con abnormi premi di maggioranza, con liste bloccate e ballottaggi, che si garantisce la salute della democrazia e la fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Tutto questo lo si garantisce solo applicando fedelmente la Costituzione e i suoi principi.

Stranamente, ma neanche tanto, di tutto questo nel dibattito sulla legge elettorale non si parla affatto. Per questo suona insopportabilmente artificioso e falso.


Leggi l'articolo completo e i commenti