Legge antinegazionismo: forse sì, forse no

par Fabio Della Pergola
venerdì 18 ottobre 2013

Sulla veridicità storica della Shoah ci sono tanti e tali studi che non vale sprecare nemmeno una parola di più per contestare gli eventuali negazionisti ancora in circolazione.

Ma la scelta della classe politica di agire per via giuridica contro il negazionismo - cosa peraltro che esiste in molti altri paesi in diverse varianti - con una apposita legge che sarà portata alla discussione in Senato, lascia più di un dubbio.

È vero che la tesi portante del negazionismo non è, come molti si affannano a ripetere, la difesa della “libertà di ricerca storica”, ma la possibilità di affermare pubblicamente che esista e sia esistito un “dogma olocaustico” - un vero e proprio credo indiscutibile - al quale la maggioranza (un’ampia maggioranza) degli storici si sarebbe resa succube, senza spiegare perché mai lo avrebbe fatto se non per ragioni di pregiudizio politico antinazista (è il ripetuto refrain della "storia scritta dai vincitori"), il che sembra francamente spiegazione derivante da un banale pregiudizio politico filonazista, di cui sarebbe legittimo sbarazzarsi con una semplice alzata di spalle (anche senza parlare della Shoah che cosa mai ci sarebbe da salvare nella logica nazista o nella loro eventuale "storia scritta dai perdenti"?).

Buon ultimo sembra essersi affacciato su questo panorama anche il meno convincente dei polemisti contemporanei, Piergiorgio Odifreddi, che testualmente ha scritto nel suo blog non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune, ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato”.

Siccome lui non è uno storico e non ha mai fatto ricerche, ipso facto il lavoro di centinaia o migliaia di storici che hanno dedicato la vita a quelle ricerche, finisce con il contare poco e nulla. È uno dei ragionamenti tipici di molto negazionismo terra-terra.

Nonostante ciò in un altro commento aveva ammesso “...quanto alla shoah, naturalmente negarla è da deficienti”. Che credibilità ha uno così ondivago ?

Oppure, per tornare alle cose serie, l’accusa potrebbe essere quella di una sorta di pregiudizio filoisraeliano che sarebbe condiviso (ma è più che lecito dubitarne) dalla comunità degli storici, come se Israele traesse la sua legittimità dallo sterminio nazista, cioè dagli ebrei morti, e non piuttosto dall’essere diventato il rifugio - le statistiche dell'immigrazione ebraica sono lì a dimostrarlo - degli ebrei rimasti vivi (nonostante tutto).

Critiche che spesso fanno capo ad una “logica di sfuttamento dell’olocausto per giustificare le politiche israeliane” come se non si potesse criticare quelle politiche - molti lo fanno - senza arrivare a negare la Shoah.

Insomma, molte sono considerazioni da tifoseria politica pro o contro Israele, stringi stringi.

Centrale è invece la violenta ferita alla memoria di chi la Shoah l'ha subìta direttamente - sempre meno numerosi, per ovvi motivi cronologici - o indirettamente come i discendenti di famiglie menomate se non devastate dai nazisti. E per l'intera comunità ebraica che si è trovata dimezzata nei numeri e strappata dai territori dell'Europa centro-orientale dove aveva ormai radici solide.

Che tutto ciò abbia lasciato lesioni profonde è scontato, ma è negato dagli studi pseudostorici di quelli che amano chiamarsi "revisionisti" e che sono più noti come "negazionisti". Per un breve riassunto del paradigma negazionista, ed alle sue origini, rimando ad una interessantissima relazione di una studiosa della Shoah, Valentina Pisanty, spesso in prima fila nel contrasto al negazionismo.

Nonostante una chiarissima condanna del negazionismo, un dubbio però resta, sull’opportunità che siano i politici e non gli storici a determinare e a difendere con argomentazioni inoppugnabili la verità storica di quel certo avvenimento. E che siano i rigori della legge e non piuttosto le prove e le argomentazioni portate dagli specialisti a rendere vano il lavoro dei negazionisti.

Già anni fa le posizioni, anche fra gli storici ebrei, si contrapposero: la storica Liliana Picciotto (qui il data base dei nomi dei perseguitati ebrei italiani che si deve al suo lavoro) si schierò a favore della legge “L’antisemitismo, il negazionismo hanno raggiunto livelli tali di violenza e diffusione, specialmente in Rete, che non è più pensabile indignarsi e poi continuare a fare come se nulla fosse (...) Qui si tratta di antisemitismo bello e buono e di quello vorrei che il Parlamento prendesse atto”. Sul fronte opposto lo storico Guri Schwarz “lo Stato non può e non deve intervenire in tema di libertà di pensiero e di parola. Credo altresì che non sarebbe utile. Pensare di “bloccare” con una legge il flusso delle informazioni e delle idee diffuse tramite la Rete è totalmente illusorio”.

Nel 2007 il dibattito, a seguito della prima proposta di regolamentare per legge il negazionismo, fu molto intenso. Qualche esempio è riassunto in questo sito.

È altresì vero - prendo questi spunti da un’intervista dello scorso maggio allo storico Claudio Vercelli autore di un interessante Il negazionismo. Storia di una menzogna - che “Il nazismo non voleva solo cancellare le persone, ma anche il loro ricordo. In tale modo, a ben pensarci, a distanza di una o due generazioni, non si sarebbe preservato neanche il memento elementare dello sterminio. Una sorta di delitto perfetto, perché paradossalmente “inesistente”. Il negazionismo, quindi, è consustanziale al nazionalsocialismo, proseguendone l’opera”.

La cancellazione del ricordo - grazie al rogo (da cui poi venne il termine “olocausto” che significa “bruciato interamente”) che faceva scomparire i corpi come se non fossero mai esistiti e allo smantellamento accurato delle prove perpetuato dai nazisti ormai in fuga - faceva parte della prassi nazista a cui si raccorda perfettamente, quindi, il negazionismo contemporaneo.

Non (o almeno non sempre) una "indipendente" indagine storica, ma il proseguimento di un’ideologia di annichilimento della memoria perpetuato con altri mezzi, comunque miranti a "far sparire" il fatto insieme al ricordo stesso del fatto.

Peccato - per i nazisti e i negazionisti - che siano scampati alla morte numerosi testimoni e alla distruzione decine di migliaia di documenti (è nota la frenesia classificatoria di antica origine prussiana della burocrazia amministrativa del Terzo Reich ed esilaranti - nella loro drammaticità - le accese discussioni fra l’ufficio amministrativo centrale delle SS e le Ferrovie tedesche riguardo al costo del biglietto ferroviario dei carri zeppi di ebrei e diretti ai campi di sterminio: alla fine l’accordo fu trovato su una tariffa cumulativa scontata; rigorosamente di sola andata, è ovvio).

Sarebbe sbagliato pensare che la situazione del dibattito attuale sia la stessa di decenni fa. L’acuirsi progressivo dell’antiebraismo islamico - derivazione diretta della mai risolta crisi israelo-palestinese, ma anche di simpatie ideologiche heideggeriane che si sono imposte in particolare nell’Islam sciita iraniano e di cui l’ex presidente Mahmud Ahmadinejad, noto negazionista, fu partecipe - e l’attivismo di gruppi ideologicamente antisemiti nella vastità della rete hanno diffuso in modo virale il “verbo” negazionista ben al di là delle proposte dei vari Irving o Faurisson o, in Italia, Mattogno.

Insomma, la prassi negazionista si vuole ammantare della nobiltà della libera ricerca e con questo ci rifila un indigeribile minestrone di falsi storici, di manipolazioni, di simpatie filonaziste, di vecchio antisemitismo e tanto antisionismo e filoarabismo. Tutti ingredienti che, presi singolarmente, possono essere elaborati, capiti, contrastati, rifiutati o, in qualche caso, addirittura condivisi, senza per questo essere tacciati di antistoricismo.

Ma messi insieme hanno un pessimo sapore di psudoscientificità raffazzonata e fanno male: allo stomaco di chi è abituato a ben altri studi e approfondimenti storici e alla testa di chi non ha capacità di discernimento in grado di fargli separare con cautela il grano dal loglio. E che, in conclusione, trova nella storia non già quello che c’è davvero, ma quello che lui stesso ci voleva trovare, avendo eliminato tutto il resto, per puro preconcetto ideologico e politico.

Il negazionismo quindi funziona (nel senso che è funzionale) ad alimentare l’antisemitismo di stampo più o meno apertamente filonazista (anche quando si maschera da sinistrorso) non a cercare verità storiche “occultate” dal presunto dogma olocaustico.

In questo senso è opportuno vietare il negazionismo per legge ?

Forse sì, forse no, il dubbio resta perché il peso dell'evidente contiguità ideologica con le "ragioni" storiche del nazismo - con un pesante inquinamento di banale odio antiebraico - e la mole di lavoro di ricerca effettuato ne negano tassativamente la validità storiografica, ma il divieto alle affermazioni revisioniste non porteranno certo alcun beneficio all'affermarsi della verità storica per quello che è. Fornirà troppi alibi ai negazionisti stessi che potranno aggiungere alle loro argomentazioni anche quella di una supposta e vittimistica "verità zittita per legge"; argomento che va alla grande in internet dove il complottismo alligna come la zanzara della malaria nelle acque stagnanti dei tropici.

Quindi sarei per il no alla legge.

Anche se poi leggo in certi blog la solita, fatidica, volgare domanda: “MA CHE CAZZO ANCORA PRETENDONO QUESTI EBREI DELLE SINAGOGHE?” e mi viene immediatamente voglia di schierarmi, con estrema decisione, a favore.

Perché dietro al negazionismo raramente c'è chi cerca davvero una verità storica, ma di sicuro c'è sempre qualcuno che sbava contro gli ebrei. A casa mia si chiama antisemitismo.

Foto: Daniele Dalledonne/Flickr

 

 


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