Le speranze (inutili) del SuperEnalotto

par Trilussa
lunedì 8 dicembre 2008

In un momento di grave crisi economica gli italiani si rivolgono all’ Enalotto con un aumento di spesa, ad ottobre, di circa il 230% rispetto alla media mensile degli ultimi due anni.

LOTTERIE!

Cinquanta miliardi di euro! Cinquanta miliardi di euro sono quelli previsti come incasso totale alla fine del 2009, 39 miliardi previsti per la fine dell’anno in corso.

Sono esattamente i soldi che le famiglie italiane hanno speso e spenderanno per il SuperEnalotto, quello con il numero Jolly, con il Superstar, quello che regala milioni di euro ai giocatori sorridenti che brindano nella ricevitoria per la vincita milionaria.

In effetti quelli che brindano hanno ben poco da festeggiare perché sono i loro soldi, fra un sorriso e l’altro, che sono andati al vincitore. L’unico che ha ben ragione di sorridere, oltre naturalmente al fortunato possessore della schedina vincente, è il gestore della ricevitoria a cui vanno le percentuali sulle giocate, l’unico che ci guadagna sempre, che vince sempre anche se non gioca.

Perché se lo stato ci guadagna, se la ricevitoria incassa la percentuale sulle giocate, se il vincitore si mette in tasca dei bei soldi, qualcuno questi soldi li deve pur aver tirati fuori. Non è beneficenza illuminata di qualche ricco pazzo o di uno stato diventato improvvisamente benefattore, bensì piccole somme uscite dalle tasche di migliaia di normali cittadini con un normale reddito, con un normale lavoro (si spera), accomunati dalla speranza di una vita migliore, magari con il desiderio di un piccolo aiuto per un loro problema o la speranza di un cambiamento significativo della loro vita mediocre migliorabile con un po’ di denaro a disposizione.

Per alcuni di loro credo che una vincita può rappresentare veramente un cambiamento in meglio, la speranza di un futuro migliore per loro e per i loro figli. Penso ai disoccupati, a chi ha perso il lavoro, ai precari senza futuro, alle donne senza prospettive specie nel sud Italia, ai pensionati al minimo, come si dice, che fanno la fila per una Card quantitativamente e qualitativamente ridicola, accettabile solo applicando il concetto del “meglio di niente!”.

Per altri ho meno comprensione, per coloro cioè che nutrono la speranza di risolvere i loro problemi o migliorare la loro vita senza nessuno sforzo, se non quello della compilazione di una schedina. Operazione in cui manca l’attributo fondamentale che rende tutto nobile, e cioè l’impegno e il sacrificio, la lotta e la ricerca di un miglioramento per nostro merito, attraverso il sudore della nostra fronte, mediante le nostre forze, mentre ci si appella semplicemente alla fortuna, alla cabala dei numeri, a qualcosa di estraneo, che non dipende da noi ma solo dalla combinazione difficile e illusoria di un’estrazione.

Il discorso non vale solo per questa lotteria nazionale ma vale per tutti i giochi a premi, i giochi cosiddetti d’azzardo, che stanno avendo un grande incremento in volume di gioco e in numero di giocatori (chiamati erroneamente e subdolamente appassionati) che fa somigliare il nostro paese sempre di più ai paesi sudamericani.

E’ il segno di un grande disagio sociale, il preciso segnale di un peggioramento delle condizioni generali del paese, soprattutto delle fasce più deboli, che dopo aver ridotto drasticamente i consumi non trovano altro rimedio che appellarsi alla fortuna per poter tirare avanti. Purtroppo così facendo non fanno altro che peggiorare le loro condizioni economiche perché il gioco non può mai essere in perdita per il gestore (lo Stato) ma è sempre in perdita per i giocatori. Sono soldi che escono dalle famiglie, che vengono dirottati verso una aspettativa effimera, improbabile ma forse e proprio quella che si vuol comprare: la speranza di una vincita, di una mano che ti solleva, di un respiro tranquillo in un momento di affanno.

Poi ci sono i malati del gioco. Una malattia in costante e preoccupante aumento. Disgraziati che non giocano per risolvere un problema, per innocuo divertimento, per noia o indifferenza, ma malati che non possono farne a meno di giocare e lo fanno dilapidando i loro averi, distruggendo le loro famiglie, annientando le proprie menti indifferenti a tutto e a tutti con l’unico e desolante scopo del giocare. Un percorso perverso in cui il gioco diventa il fine e non più il mezzo. Non giocano oramai più per vincere, e sono perfettamente consapevoli di perdere, ma non possono più farne a meno: giocano solo per giocare.

Tutto questo non fa che impoverire un paese già in difficoltà e le facce sorridenti che si vedono, i cartelloni pubblicitari pieni di promesse e di ottimismo, gli stessi dirigenti delle lotterie che espongono con soddisfazione i risultati raggiunti… mentono. Non c’è niente di cui poter sorridere, non ci sono risultati da vantare, non ci può essere soddisfazione per questo segnale di scadimento delle condizioni generali del paese e se da questo aumento di interesse e di capitali lo stato trae maggiori risorse, ebbene quelle risorse sono strappate alle famiglie più deboli, rubate alle menti più disperate, sottratte a beni più essenziali delle famiglie in difficoltà.

I ricchi hanno sempre giocato, i molto poveri non hanno denaro per giocare. Nei momenti di difficoltà economica del paese sono i ceti medio-bassi che vi si rivolgono con la speranza di una vincita che permetta loro di mantenere il livello di vita precedente. E’ per questo che un aumento del gioco o del numero di “appassionati” rappresenta un indicatore abbastanza fedele del disagio sociale ed economico di una classe media che sta progressivamente scivolando verso il basso trascinando con se quei consumi che il Presidente continua a sollecitare ma che non possono arrivare. Un autentico segnale di crisi che dovrebbe far riflettere.

 

 

 

 


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