Le scarpe da tennis made in Italy e un futuro da terzo mondo per l’Italia

par Daniel di Schuler
giovedì 7 novembre 2013

Gira, sui social network, la foto di un paio di vecchie scarpe Adidas, prodotte a loro tempo in Italia. A farla circolare sono i grillini; per loro è la dimostrazione del disastro che l’Euro ha rappresentato per la nostra competitività.

Un discorso affascinante, anche se qualche dubbio viene subito a chi sappia qualcosa, per esempio, del mercato dell’abbigliamento. Nei decenni che ci separano da quelle scarpe, infatti, sono spariti completamente il tessile della Germania, già temibile concorrente del nostro, e si sono ridotti di moltissimo quello della Francia, pure un tempo fortissimo, e dell’Inghilterra, paese che nell’Euro chissà se entrerà mai.

È accaduto un fenomeno chiamato mondializzazione. Tutto lì.

In mercati solo regolati dal profitto, i beni a scarso valore aggiunto e a forte incidenza della manodopera debbono essere prodotti dove quest’ultima costa meno. E questa nei paesi in via di sviluppo costa pochissimo. Punto.

È quello che hanno capito i dirigenti delle case automobilistiche tedesche, per esempio, che non si sognano di produrre in Germania i propri modelli più economici. È quello che han capito i nostri stessi esportatori, quelli che ancora reggono, che hanno tutti innalzato la qualità dei propri prodotti.

La risposta implicita nella strategia grillina, che vorrebbe un ritorno ad una Lira da trasformare in buona sostanza in carta straccia, è invece quella di abbassare i salari reali fino a che il costo del lavoro italiano diventi paragonabile a quello tailandese o cambogiano: solo così le multinazionali dell’abbigliamento tornerebbero a produrre da noi.

In fondo è quello che abbiamo fatto negli ultimi decenni (prima svalutando, poi semplicemente tenendo fermi i salari) e infatti da noi il tessile resiste ancora. E infatti tessitori e tintori tedeschi e francesi hanno chiuso i battenti per la maggior parte negli anni ’80, uccisi proprio dalle nostre svalutazioni competitive.

E infatti, più in generale il nostro export regge.

Tutto molto bello.

O, meglio, lo sarebbe se, così facendo, non avessimo ridotto i salari reali dei nostri lavoratori fino a farli diventare tra i più bassi di tutta l’OCSE e, sempre così facendo, non avessimo seppellito il nostro mercato interno.

Se non avessimo cioè costruito, con le nostre stesse mani, la nostra peculiare e ormai trentennale crisi.

Una crisi da cui potremo uscire solo lavorando contemporaneamente su più fronti. 

Nelle aziende, aumentando il valore aggiunto dei nostri prodotti: migliorandone la qualità (e abbiamo già fatto molto) o cominciando a farne di nuovi (e non abbiamo fatto quasi nulla).

Nel settore finanziario, mettendo le banche nelle condizioni di tornare a fare il proprio lavoro e imponendogli di tornare a farlo (sempre che lo facessero un tempo; più che a prestar soldi alle imprese, soprattutto nuove, i nostri istituti di credito hanno sempre badato a incassar gabelle).

Nel paese, migliorando la competitività del sistema. E per farlo, inutile girarci attorno, dobbiamo migliorare il rendimento del pubblico impiego. Non possiamo continuare ad avere la 75esima pubblica amministrazione la mondo per efficienza; non possiamo continuare ad avere la 155 esima giustizia civile al mondo per celerità (e se non fosse una tragedia, parrebbe una barzelletta)

Una strada difficile, lunga e scomoda, quella che dobbiamo percorrere per tornare davvero a crescere. Una strada che rischia di non piacere, questa sì, ai “poteri forti”; che rischia di disturbare, ed è l’altro problema, il quieto sopravvivere di qualche milione di elettori.

Una strada che passa da un investimento deciso nella scuola e nella ricerca e che comincia anche da un aumento dei salari reali: il mercato interno altrimenti non riparte e senza quello…

Senza quello si annuncia il futuro rappresentato da quel paio di scarpe da tennis.

Quello di un paese di operai poco qualificati e pagati pochissimo. In zilioni di neo-Lire, ovviamente.

P.S. Ma una bella foto di un pallone da calcio made in Italy non si poteva trovare? Un tempo ci saranno stati, e con tutte le ore che i nostri bambini perdono con i loro giochini …

Dico: potremmo metterli alle macchine da cucire. 


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