Le religioni di pace, il web in guerra e i conti con la realtà
par UAAR - A ragion veduta
lunedì 6 ottobre 2014
Ha (ri)cominciato il premier britannico David Cameron, il giorno dopo la barbara decapitazione del cooperante David Haines: “Quelli dell’Isis non sono musulmani sono mostri, l’islam è una religione di pace”. Ma ci si è messo anche Barack Obama, a stabilire chi è un bravo musulmano e chi no: “Non siamo in guerra con l’islam, l’islam insegna la pace: questi terroristi hanno pervertito una delle più grandi religioni del mondo”. Un discorso già più articolato, il suo, perché ha ricordato le guerre di religione e ha invitato le comunità musulmane a rigettare l’ideologia dello Stato Islamico. Cosa che peraltro stanno – finalmente – cominciando a fare, consce delle ricadute che possono patire.
Gli interventi di Cameron e Obama, tuttavia, partono a loro volta da un presupposto ideologico: una religione non può che essere pacifica, proprio in quanto religione. È un atteggiamento che ha trovato la sua apologeta nell’ex suora Karen Armstrong, ora ecumenica scrittrice à la page. Sul Guardian ha cercato in ogni modo di smontare “il mito della violenza religiosa”. Tale atteggiamento è fatto ovviamente proprio anche dal leader religioso di maggior successo, papa Francesco: “Uccidere in nome di Dio è un sacrilegio”.
Se la religione è buona, i cattivi non possono dunque essere veri credenti. Il papa ha non a caso accompagnato l’affermazione sostenendo che l’Albania, dove si trovava in quel momento, è un paese “che ha sofferto per un terribile regime ateo”.
Vero. Come è vero che l’Italia centrale ha a sua volta sofferto, per secoli e non per decenni, un terribile regime totalitario: lo Stato pontificio. Perché in ogni grande religione – nel cristianesimo, nell’islam, nell’ebraismo, persino nell’induismo e nel buddhismo che pur godono di migliore stampa – c’è chi si batte per la pace e chi per la guerra. Militia Christi, piaccia o no, è un movimento cattolico come Pax Christi. Beninteso: anche nel mondo ateo c’è chi è intollerante e chi no. Con l’importante differenza che, quantomeno, l’ateismo non si basa su testi sacri in cui, in maniera spesso oscura, c’è scritto tutto e il contrario di tutto.
In Siria e in Iraq è attualmente in corso una guerra, una delle tante che si combattano sul nostro piccolo pianeta. Chi l’ha iniziata non l’ha fatto in nome della superiorità della cucina araba su quella di McDonald’s. L’ha fatto in nome della sua religione. Ha dato al movimento un nome musulmano (Stato Islamico) e un vessillo su cui campeggia la professione di fede musulmana e si è dato anche un leader religioso che è stato eletto “califfo”, dunque successore di Maometto: un altro leader religioso che qualche guerra in nome di Allah l’ha personalmente combattuta. Nei territori conquistati si applica duramente la sharia. L’Isis ha un’ideologia che è sbagliato ricondurre esclusivamente all’islam: ma è ancora più sbagliato, dati alla mano, negare che la dottrina islamica ne rappresenti la componente preponderante. Che lo sostengano i leader religiosi ci può stare: fa parte del loro mestiere. Ma è inevitabilmente questo il “mestiere” dei leader che governano il mondo?
No, risponde l’ottimismo della volontà. Sì, viene amaramente da scrivere col pessimismo della ragione. Se politici e religiosi non vogliono fare i conti con la realtà, anche l’umanità fa una fatica boia a progredire. Sono passati ormai secoli dall’Illuminismo, ma prendere posizione a ragion veduta continua a rimanere un’attività di nicchia. E il web non aiuta affatto a migliorare la situazione, anzi. Internet fa dilagare la polarizzazione di gruppo e aumentare il numero di chi frequenta soltanto chi la pensa allo stesso modo. Si tende ad ascoltare una sola campana e, se casualmente si incappa in qualcuno che si colloca ai propri antipodi, spesso lo si insulta pesantemente, indipendentemente dal fatto che documenti o meno le proprie affermazioni. Impossibile ormai esprimere una posizione non estremista su Israele e la Palestina: chi ce l’ha non la espone, tanto si è certi di ricevere bastonate da una parte e dall’altra. Dando così ragione a Georges Santayana, che in un libro non a caso intitolato La vita della ragione sostenne che “il fanatismo consiste nel raddoppiare gli sforzi quando si è dimenticato l’obiettivo”. Con un andazzo del genere non si supera alcuna difficoltà e si finisce per tornare all’alba dell’uomo, quando la ragione (o quello che era allora) stava sempre dalla parte del più forte. Interessa ancora a qualcuno, affrontare i problemi?
Pare che tra non molto tempo saremo in tredici miliardi. Non andremo però oltre, dicono. Forse perché ci saremo estinti prima. Ve lo immaginate? Tredici miliardi di homines (poco) sapientes divisi in innumerevoli tribù, ognuna impegnata a combattere innumerevoli nemici e a giustificare gli innumerevoli nemici dei propri innumerevoli nemici. Tredici miliardi di primatoidi che si scannano per avere l’ultima parola: non sappiamo se in principio c’era un Verbo, ma potrebbe forse esserci alla fine, declinato discutibilmente. Anno dopo anno, giorno dopo giorno, tweet dopo tweet, la speranza di realizzare un mondo migliore si affievolisce fino a diventare quasi impercettibile. Cercasi extrema ratio disperatamente. Irrazionalmente.
Raffaele Carcano, segretario Uaar