Le radici della ’ndrangheta: dal brigantaggio alla politica passando per onori e cortesie
par Luca Rinaldi
venerdì 15 luglio 2011
Brigantaggio, picciotterie, famiglie, armi e cortesie fino ad arrivare alle zone grigie, quindi alla politica e l'imprenditoria. Da sud a nord un fenomeno che coinvolge la società e che difficilmente viene riconosciuto. Il libro di Mario Anrigo e Lele Rozza prova a raccontarne i meccanismi da vicino
Brigantaggio, picciotterie, famiglie, armi e cortesie fino ad arrivare alle zone grigie, quindi alla politica e l'imprenditoria. Da sud a nord un fenomeno che coinvolge la società e che difficilmente viene riconosciuto.
Un fenomeno che Mario Andrigo (per otto anni sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e pm nel processo per il delitto Fortugno, oggi in forza alla procura di Vigevano) e Lele Rozza (laureato in filosofia, ed esperto di comunicazione) cercano di farci comprendere con il libro "Le Radici della 'ndrangheta" (Nutrimenti, 13 euro), con la prefazione del procuratore capo di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone.
Un lavoro che si snoda attraverso le 126 pagine del libro. Pagine che studiano il fenomeno 'ndrangheta partendo dai suoi concetti chiave, dalla "coscienza del fatto", così come l'ha definita durante la prima presentazione a Vigevano (PV) Mario Andrigo, al riconoscimento. Riconoscimento che come ha ricordato sempre nella serata di dello scorso venerdì, Lele Rozza "è il primo passo per combatterla la 'ndrangheta".
"Le radici della 'ndrangheta" vuole svelare i meccanismi che hanno portato la mafia calabrese a essere la più potente e influente del mondo, a capire come il concetto di "cortesia" abbia contribuito alla crescita della "zona grigia". A capire come in una regione, e in particolar modo in una provincia, come quella di Reggio Calabria, in cui mancano realtà produttive e servizi, per avere qualcosa occorre chiedere proprio quella "cortesia" che poi deve essere necessariamente restituita, senza rinunce. Senza badare alla contropartita. Un meccanismo che è diventato negli anni specchio dell'intero Paese.
"Ed è proprio sulla 'zona grigia' - ricorda Andrigo - che si gioca la partita più importante, ovvero quella che richiede la responsabilità e il rispetto delle regole, soprattutto dai rappresentanti delle istituzioni. Perché i processi da soli - dice ancora il magistrato - per la 'zona grigia', a volte non bastano". A proposito di zone grigie Mario Andrigo cita il caso di quando, ancora procuratore a Reggio Calabria, si trova a celebrare un processo in cui uno degli avvocati difensori di uno degli imputati, poi condannati, era contemporaneamente assessore alla cultura del comune che si era costituito parte civile proprio contro l'assistito dello stesso assessore.
Storie vere di 'ndrangheta vissuta, a volte romanzate per necessità legate alle indagini o all'identità delle persone, storie che raccontano di un fenomeno rimasto ignorato fino a poco tempo fa, quando si pensava che i padroni incontrastati delle organizzazioni mafiose fossero i padrini di Cosa Nostra. Invece la 'ndrangheta ha saputo dimostrarsi potente, estesa e addirittura una organizzazione criminale mondiale, con una struttura verticistica, praticamente ignorata fino a qualche anno fa.
Una organizzazione che non solo è sangue e morte, ma anche business e affari, che porta imprese pulite dalla propria parte, per poi concludere affari sporchi. Una 'malapianta', per usare una definizione cara a un altro magistrato in prima linea, Nicola Gratteri, in grado di rigenerarsi a ogni 'decapitazione'. Come ricorda lo stesso Andrigo "parliamo di 'ndrangheta al nord da poco tempo. Eppure basti pensare che i processi a Milano di fine anni '80, inizio anni '90 ne avevano già dimostrato il radicamento. Qualcuno disse che quei processi la decapitarono. Ma dopo 20 anni ne parliamo e la vediamo ancora, soprattutto nei periodi di recessione economica"
Come ricordano gli autori, riprendendo il discorso iniziale del riconoscimento del fenomeno, il passo successivo è quello dei singoli comportamenti dell'individuo. Comportamenti onesti, puliti e soprattutto coraggiosi. Solo così si arriva dove la sola repressione degli arresti e dei processi non può arrivare. Ma la strada da fare è ancora lunga.
In questo senso la postfazione dei due autori è importantissima e riconosce alla società civile un ruolo che, purtroppo, troppo spesso, il singolo cittadino delega ad altri, vuoi per convenienza, vuoi per l'assuefazione al fenomeno che è la vera linfa di cui le organizzazione mafiose si nutrono quotidianamente.