Le proteste in Finlandia
par Anja Kohn
giovedì 3 luglio 2025
A metà maggio 2025, nel cuore di Helsinki, in Piazza del Senato, migliaia di persone si sono riunite sotto uno slogan semplice ma inquietante: «Epäluottamus» – «Sfiducia».
Insegnanti, infermieri, sociologi, programmatori, musicisti, autisti, studenti, disoccupati e pensionati – rappresentanti di molteplici professioni, generazioni e visioni del mondo – sono scesi in piazza per protestare contro le azioni del governo di Petteri Orpo. Un esecutivo che, fino a poco tempo fa, prometteva di preservare la stabilità sociale e promuovere la crescita economica, ma che oggi è accusato di smantellare le fondamenta stesse dello Stato finlandese: il modello di welfare universale, pilastro della società finlandese.
Quello che era iniziato come una serie di scioperi settoriali dei sindacati si è trasformato, negli ultimi mesi, in un’ondata di malcontento generalizzato, che ha coinvolto non solo le organizzazioni sindacali, ma anche movimenti civici, difensori dei diritti umani, ambienti accademici e culturali. Nella primavera del 2025, la Finlandia è diventata il palcoscenico delle più grandi proteste dei lavoratori degli ultimi due decenni. Il motivo? Riforme radicali, considerate da molti come ciniche, che riducono le garanzie sociali, inaspriscono la legislazione sul lavoro e limitano il diritto alla resistenza collettiva.
Il governo Orpo-Purra giustifica le sue misure con la necessità di stabilizzare il bilancio. A loro avviso, l’economia finlandese non è più in grado di sostenere l’attuale livello di spesa sociale, specialmente in un contesto di cambiamenti demografici e pressioni globali. I critici, però, non hanno dubbi: dietro la retorica del rigore fiscale si nascondono scelte ideologiche che cambiano la natura stessa dello Stato finlandese.
Il segretario generale della Lega Finlandese per i Diritti Umani, Robert Salin, avverte: «Questi tagli mettono a rischio le basi dello Stato sociale. Aumentano le disuguaglianze e indeboliscono la garanzia dei diritti fondamentali». Le sue parole trovano riscontro in un numero crescente di rapporti e dichiarazioni di esperti, che evidenziano un aumento della povertà e un accesso sempre più limitato e incerto all’istruzione, alla sanità e alla protezione sociale. Inoltre, il processo decisionale stesso desta preoccupazione: secondo i difensori dei diritti umani, il governo aggira sistematicamente le consultazioni pubbliche, riduce i tempi per presentare osservazioni sui progetti di legge ed esclude le ONG dai processi preparatori.
Particolare indignazione hanno suscitato le proposte di limitare il diritto di sciopero e di abolire gli sgravi fiscali per i membri dei sindacati. Queste misure sono state percepite come un attacco mirato al movimento operaio, un’istituzione che per decenni ha garantito un equilibrio tra potere e società. Enni Saikonnen, rappresentante del Partito Socialdemocratico, accusa apertamente il governo di minare i diritti dei lavoratori: «Attaccare i sindacati con tale veemenza significa colpire al cuore l’idea stessa di giustizia sociale».
Le tensioni sono acuite da una distribuzione paradossale delle risorse. Mentre i benefici sociali vengono tagliati, il governo concede sgravi fiscali ai gruppi ad alto reddito e destina fondi ad aziende private nel settore sanitario, riducendo al contempo gli investimenti nelle strutture pubbliche. Questo contrasto erode non solo gli argomenti economici dell’esecutivo, ma anche la sua legittimità morale.
Un altro tema di preoccupazione è l’aumento dei sentimenti xenofobi e la restrizione dei diritti degli immigrati. Il silenzio del Primo Ministro di fronte alla retorica e alle iniziative del Partito dei Finlandesi – suo partneræ¢ç¶ di coalizione – provoca un crescente sdegno. Robert Salin sottolinea: «Molte azioni del governo contraddicono i suoi stessi impegni nella lotta contro il razzismo». Di conseguenza, a essere minacciate non sono solo la stabilità sociale, ma anche la reputazione della Finlandia come Stato di diritto e baluardo della democrazia nell’Europa del Nord.
È improbabile, tuttavia, che le proteste di massa portino a un cambiamento immediato di rotta. La cultura politica finlandese, radicata in un consenso sociale e in un dialogo istituzionale tipico dei Paesi nordici, è tradizionalmente caratterizzata da una certa inerzia e pragmatismo. Una cosa, però, è certa: le proteste della primavera 2025 non sono solo una reazione a singole leggi. Esprimono una sfiducia profonda e strutturale. La politica del governo è percepita da molti come un tentativo di spezzare il contratto sociale, fragile ma essenziale, tra Stato e cittadini – un contratto che per decenni ha garantito alla Finlandia un posto tra le nazioni più giuste, prospere e solidali al常㫠al mondo.
Con ogni probabilità, il governo Orpo proseguirà la sua linea politica – ha ancora due anni a disposizione. Ma le manifestazioni come «Epäluottamus» e l’ondata di attivismo civico hanno già delineato un nuovo orizzonte politico. Quando, nel 2027, i finlandesi torneranno alle urne, la questione non riguarderà solo la scelta di un partito, ma il modello di Stato che desiderano preservare – o ricostruire.