Le pregiudiziali ideologiche del signor Monti

par Camillo Pignata
venerdì 13 luglio 2012

L’Italia ha intrapreso un percorso di guerra, ha detto Monti. Ma in guerra le parole vanno ponderate. Eppure il professore, in questi ultimi giorni, ha detto cose di estrema gravità e di grande superficialità: la concertazione è la fonte di tutti i mali dell’Italia, le dichiarazioni delle parti sociali alzano lo spread, il ritorno della politica spaventa i mercati.

Parole in libertà all’insegna di una pregiudiziale ideologica ,che nega il ruolo delle parti sociali, e della politica quando sono antigovernative.

E’ inimmaginabile in un sistema democratico, che, spread o non spread, vive di rapporti dialettici tra governo e parti sociali, governo ed opposizioni, tappare la bocca alle parti sociali.

Non si può usare la paura dello spread, come una clava per smantellare la dialettica sociale, e per l’affermazione della tecnocrazia sulla politica.

Eppure succede anche questo nel nostro Paese, nel silenzio ignobile di taluni partiti, e nel balbettio indecoroso di altri. 

Sui risultati della concertazione ha risposto molto bene la Camusso, ricordando che l’ingresso in Europa è stato favorito da un atto di concertazione, e cosi anche la riforma Dini delle pensioni. Ma la concertazione non è solo gli accordi che produce, ma anche ciò che impedisce o previene. Pertanto una valutazione non superficiale, non può prescindere dalla comparazione tra questi elementi. Si è chiesto il professore che cosa sarebbe stata l’Italia senza concertazione? Quali incidenza sulla nostra economia avrebbero avuto rivolte e moti di piazza? Ma forse è convinto che il problema si risolve con due cariche di polizia.

E d’altra parte la concertazione è anche un metodo, uno strumento di conciliazione di interessi diversi, un raccordo tra economia e società, tra numeri e persone che son interdipendenti. Non si può pensare ai numeri e trascurare le persone. Gli andamenti dei mercati e degli spread, non sono in sensibili ai moti di piazza alla instabilità politica. Se è vero che la finanza condiziona la vita delle persone, i disordini sociali influenzano la finanza. I moti di piazza aumentano lo spread, per questo la coesione sociale è un dato ineludibile. Basta guardare l’incidenza positiva sull’economia della pace sociale tedesca, frutto del dialogo e della concertazione e quella dei moti sociali greci di ieri, di quelli spagnoli di oggi,.

Se l’Italia non cresce da venti anni è perché è mancata una politica industriale, perché le risorse finanziarie prodotte dai bassi salari non sono stati destinati agli in vestimenti ma alla speculazione ,per l’assenza di una regolamentazione dei rapporti tra i sindacati e tra sindacati e Confindustria, e non per la concertazione.

La critica che può essere fatta alla concertazione, è quella di aver trascurato talune problematiche fondamentali, quali il precariato, la necessità di una politica industriale, le relazioni in industriali,e non quella di aver favorito il mondo del lavoro.

Il presidente della Confindustria ha criticato la riforma del lavoro, e la revisione della spesa del governo. Monti non ha risposto nel merito ai rilievi avanzati da Squinzi, ha solo prospettato il pericolo di un aumento dello Spread.

E ancora Monti ha attribuito il cattivo andamento dello spread, alla previsione di un ritorno al governo dei partiti politici.

Insomma la reazione negativa dei mercati alle misure antispread, non è riferibile alla politica recessiva dell’esecutivo, al credit crunch, o alla timidezza europea nell’adozione di misure antispread in grado di imbrigliare la forza speculativa della finanza, a partire dalla limitatezza del fondo salva Stati, ma alle dichiarazione del presidente di Confindustria e alla politica italiana.

E’ vero che viviamo in una società mediatica, ma non è possibile che le dichiarazioni di Squinzi condizionino lo spread, più della incapacità del nostro governo di segnare una svolta riformista, dell’incapacità dell’Europa di varare misure anti spread .

E’ vero che abbiamo una classe dirigente di basso livello, ma non possibile che il ritorno della politica costituisca un pericolo da sventare, quasi che la tecnocrazia sia qualcosa di diverso e di alternativo rispetto alla politica, e non un modo diverso di fare politica. Ciò che fa paura non è il generico ritorno alla politica, ma il rischio di instabilità politica, in un società quale la nostra estremamente conflittuale.

Il fatto è che la politica europea ha dimenticato che ha il potere di nazionalizzare le banche, di scoraggiare con una tassa le transazioni finanziare, di annullare i debiti, di dilazionarli. Insomma la politica ha dimenticato la forza del suo potere legislativo in grado di debellare la speculazione e il liberismo antistatale.


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