Le nuove frontiere del nucleare

par Francesco Arnaldi
martedì 17 luglio 2012

A Nottinghamshire, nel Regno Unito una vecchia centrale nucleare viene demolita nel giro di pochi secondi. Ordinaria amministrazione, nulla di eclatante, ma vale la pena di riflettere sull'argomento per due motivi. Il primo, che ci riguarda più da vicino, è l'ormai millenario contenzioso sulla riapertura in territorio italiano delle centrali della "discordia".

Il nostro paese paga lo scotto di non riuscire a produrre energia in quantità tale da soddisfare i consumi, questo ci porta a dover acquistare energia da stati, come la Francia, che dei reattori a fissione fanno la loro fonte di produzione primaria e questo sembra quantomeno ipocrita. Probabilmente l'argomento non sarà toccato almeno per i prossimi sei mesi, anche se sono in atto, ormai da dieci anni, commissioni di studio; tra le paure per i terremoti (che sono almeno da un punto di vista tecnico, il principale impedimento per la realizzazione) e la crisi (i reattori costerebbero anni in termini di studio e progettazione e centinaia di milioni per la loro creazione)la strada per un compromesso accettabile sarà lunghissima, ma è comunque interessante capire quale sia il reale vantagio e i reali rischi per quando sarà il momento di esprimere la propria opinione.

E qui arriviamo al secondo motivo per cui è importante parlare di nucleare, il Giappone dopo la tragedia di Fukushima ha dichiarato di voler mollare il nucleare e dedicarsi al rinnovabile, ma è possibile? Iniziamo a vedere la questione da un punto di vista economico: l'uranio è superato, seppur in passato lo slogan più in voga dei pro delle centrali atomiche (termine usato, ma poco corretto) fosse proprio il grande risparmio economico che derivava dall'uso del materiale radioattivo, oggi l'uranio sta diventando sempre più raro e i costi di smaltimento in sicurezza stanno diventando sempre più alti.

Le alternative potrebbero essere l'eolico, l'idroelettrico e il solare. L'eolico, purtroppo ha una bassissima resa rispetto ai costi di mantenimento e gestione e dei tre è quello che presenta un impatto ambientale più forte. L'idroelettrico è pulito, ha basso costo e un basso impatto, purchè esistano le condizioni che garantiscano un flusso d'acqua costante, altrimenti vanno innalzate dighe e strutture che prevedono alti costi e modificazioni del territorio, in più le capacità sfruttate al massimo, potrebbero produrre circa il 25% del nostro fabbisogno energetico. Per quanto riguarda il solare, l'ostacolo maggiore si ha nel riciclaggio dei materiali, nella fragilità delle strutture, nella resa del sistema che è strettamente dipendente dalle condizioni climatiche, inoltre esiste un problema di reperibilità materiali, il silice è facilmente estraibile, ma la domanda a livello mondiale sta crescendo esponenzialmente (viene usato in tutti campi dall'edilizia alla costruzione dei chip), questo ne ha fatto lievitare il prezzo ed è una tendenza che aumenterà esponenzialmente con il passare del tempo.

Quindi la risposta rimane il nucleare, ma di quale genere?

Le due grandi varianti di reazione che si potrebbero utilizzare, in teoria, per ricavare energia, sono la fusione e la fissione. Solo la seconda, però, fin ora è stata controllata, in maniera tale da poter essere indirizzata all'uso civile, la prima è il sogno della fisica applicata moderna (per ora la reazione è instabile e dura per un lasso di tempo breve, come nella bomba H) e garantirebbe energia senza residui (viene creato solo un modesto quantitativo di trizio, variante leggermente radioattiva dell'idrogeno), i processi sono diametralmenti inversi, mentre nel primo atomi "leggeri" (idrogeno e deuterio) si "fondono" in un atomo più "grande", nel secondo atomi pesanti (ad esempio l'uranio 235) si scindono, creando reazioni a catena e prodotti di scarto che hanno un forte decadimento radioattivo. Finchè il sogno della fusione n, che è dieci volte più potente della fissione e utilizza un materiale facilmente reperibile in natura come l'idrogeno,non si sarà realizzato che strade si possono intraprendere?

La soluzione potrebbe venire da una mente italiana: Carlo Rubbia. Il fisico nostrano aveva avviato una ricerca sull'utilizzo del Torio ai tempi in cui guidava l'Enea e un ulteriore ricerca è stata intrapresa nel 2000. il Torio si trova in grandi quantità in natura, Produce più energia (250 volte) dell'uranio, a parità di massa, le sue scorie hanno un tempo di decadimento basso (dai 50 ai 500 anni contro i 24 mila del plutonio) ed è possibile arrestare la reazione in maniera veloce in caso di incidente.

Allora perchè usiamo uranio? I principali motivi sono due. La storia dello sviluppo delle centrali è legata alla storia delle armi e il torio non è di per se fissibile, quindi è inutilizzabile a scopo bellico. Inoltre, proprio perchè deve essere trattato, necessita di una tecnologia più avanzata per renderlo efficace. Per la verità anche l'uranio 238 che si trova in natura deve essere trattato, ma i reattori possono utilizzare materiale, anche solo parzialmente arricchito. Al torio, per capirci serve una miccia per innescare quelle stesse reazioni che avvengono naturalmente nelle barre convenzionali, miccia che deve essere atomica (quindi anche l'uranio 235). Servono dunque macchinari più complessi, impianti di conversione e, ovviamente, più personale formato in maniera specifica verso un numero maggiore di settori.

Qui entra in gioco Rubbia, che riuscì a realizzare l'operazione bombardando il metallo con un fascio di protoni, creato da un acceleratore di particelle, questo metodo detto a spallazione produce un isotopo dell'uranio (233) non esistente in natura ed è estremamente efficiente.

Per ora solo la Cina e l'India hanno investito in questo tipo di centrali con un piano a lungo termine, ma sembra che potrebbe esserci una svolta anche nella politica degli Stati Uniti, che da tempo avevano abbandonato la ricerca, dopo l'iniziale entusiasmo e l'apertura di una mini centrale a Shippingport nel 1957.


Demolite 5 torri in 15 secondi par ANSA


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