Le multinazionali investono poco in Italia

par Libero Mercato
lunedì 6 dicembre 2010

In un'intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, Filippo Roggero, presidente di Fujitsu Italia, traccia un quadro a dir poco deprimente del nostro paese in termini di appeal verso le grandi aziende internazionali: "L'Italia non è in pole position, vengono prima le nazioni del Nord, ma anche Francia e Spagna. Il nostro è un paese troppo complesso e loro preferiscono andare dove operare è più facile".

La Fujitsu è una multinazionale giapponese dell'information technology (la quarta nel mondo, con un fatturato di 50 miliardi di dollari, di cui 5 in Europa).
Secondo uno studio del World Investment Report 2010 commissionato dall'Onu, nel 2009 lo stock degli investimenti delle multinazionali in Italia è stato di circa 400 miliardi di dollari, ma il confronto con il resto d'Europa è impietoso: 1.132 miliardi in Francia, 1.125 miliardi nel Regno Unito.
 
Per quanto riguarda gli investimenti esteri, se in Italia si arriva a 30,5 miliardi, in Francia è quasi il doppio, con 59,6 miliardi (45,6 in Inghilterra).
 
Sempre secondo Filippo Roggero, non conviene investire in Italia perché "ci sono criticità che viste dall'estero preoccupano, soprattutto il fatto che non vengano rimosse". Qualche esempio?
 
"La burocrazia soffocante, il costo del lavoro elevato e la scarsa flessibilità. Quello italiano è un sistema così complesso che è difficile operarvi, soprattutto per gli stranieri. Così, come nel caso di Fujitsu, si preferisce investire altrove. Olanda, Regno Unito, ma anche Spagna. O in Francia, nonostante applichi una tassazione più elevata rispetto all'Italia".
 
Tra i nostri punti deboli bisogna segnalare anche la mancanza di innovazione, come nel settore pubblico, dove si potrebbero tagliare le spese e risparmiare le risorse. Ruggero parla di uno studio elaborato con il Politecnico di Milano, secondo cui attraverso la fatturazione elettronica si potrebbero liberare risorse per oltre 3 miliardi di euro nella Pubblica Amministrazione e quasi 10 miliardi nelle imprese."Tutte le nazioni europee si stanno muovendo su questa strada, meno che in Italia, dove manca un piano a lungo termine".
 
In attesa di sapere quale governo avremo da qui a Natale, è utile ricordare che, mentre l'Europa affronta la crisi economica portando avanti le riforme necessarie al miglioramento della struttura produttiva e del risanamento dei conti pubblici, in Italia non si può neanche toccare il sistema universitario, nonostante sia tra i peggiori del mondo (secondo una classifica del Times, il primo ateneo italiano, Bologna, è al 196esimo posto nel mondo) ed il dibattito pubblico, dopo le estenuanti discussioni su appartamenti e prostitute, si arena sul braccio di ferro tra due potenti ed egocentrici leader.
 
Una possibilità di riscatto però esiste: "Conviene ancora produrre in loco per il mercato continentale. Un Pc ci costa 9 euro assemblarlo in Europa, contro 50-60 cent della Cina, ai quali però vanno aggiunti 9-10 euro a collo per il trasporto. Abbiamo già alcune fabbriche in Europa e non escludiamo di aprirne di nuove. Stesso discorso per le acquisizioni: siamo alla ricerca di competenze per completare o sviluppare le aree di mercato".
Perfetto, e dove?
"Non certo in Italia".

Leggi l'articolo completo e i commenti